Anima-corpo. Equivoci antropologici sul dialogo di S. Agostino con «i platonici» (2/2)

Chiarimenti sull’antropologia di S. Agostino
Fatte le debite premesse è possibile affrontare con maggior precisione la questione antropologica da cui siamo partiti, rilevando anzitutto che se è vero che «non si può negare, in ogni caso, l’incidenza in Agostino della concezione del corpo come prigione, presente in Platone, a sua volta dipendente dalla teogonia orfica e dal mito di Dionisio Zagreus e mediata attraverso la cultura  romana e il medio neoplatonismo di Albino, Apuleio, Porfirio e Plotino, di cui è ampia traccia nell’opera [De civitate Dei]»,[1] è altrettanto vero che «le influenze filosofiche su Agostino non dovrebbero limitarsi a quelle che affermavano una dualità di corpo e anima; gli scritti di Varrone, e con essi la vecchia accademia, e anche di Aristotele, accettavano l’unità del corpo e dell’anima, ed ebbero una significativa influenza sul pensiero di Agostino».[2] Pertanto «sotto questo punto di vista si riscontra effettivamente in Agostino una certa oscillazione fra il riconoscimento della “pesante schiavitù del proprio corpo”, unito ad una considerazione pessimistica della vita del corpo, e l’esaltazione dell’uomo, vertice sublime della creazione di Dio, oscillazione legata alla matrice filosofica platonica e alla difficoltà di conciliarla con il dettato biblico».[3]

L’apparente contraddizione a cui qui si fa riferimento non è dovuta affatto a contenuti “mutevoli”, indecisioni o imprecisioni presenti nel pensiero di sant’Agostino, quanto piuttosto alla limitatezza del linguaggio umano e agli schemi interpretativi da cui tale linguaggio è mutuato. La tensione dualistica può apparire amplificata soprattutto se si cerca di comprendere il pensiero agostiniano (e sottolineo ancora una volta quello patristico in generale) senza porsi nella prospettiva della fede cristiana, ma cercando di interpretare esclusivamente la teologia da un punto di vista filosofico, facendo così un procedimento inverso rispetto a quanto compiuto dai Padri della Chiesa: il linguaggio teologico che aveva preso a prestito la terminologia filosofica adattandola ai contenuti cristiani, viene così privato del suo significato originario e “riempito” dei concetti della filosofia platonica.

In riferimento, quindi, al presunto dualismo o alla visione negativa del corpo in S. Agostino è sufficiente leggere qualche passo de La città di Dio per comprendere come, al contrario, egli affermi la profonda unità della natura umana e la sua dignità, introducendo una precisa distinzione tra il corpo/carne e la sua “corruttibilità”.

«Indubbiamente non è attento alla natura dell’uomo nella sua globalità chi afferma che la carne è come l’origine di ogni vizio e immoralità […] perciò non vogliamo essere spogliati del corpo, ma desideriamo che venga rivestito della sua immortalità»[4].

Per s. Agostino la necessità della disciplina dell’anima (ascesi) non nasce dal male della materia, che non è per se stessa un male, ma dal «bellum civile» che il peccato ha originato nell’uomo. Egli rifiuta il presupposto dualistico della metafisica platonica, in base al quale, la materia (il corpo) è considerata come un carcere dell’anima da cui ci si deve liberare, ma accetta e propone l’insegnamento della Sacra Scrittura che attribuisce alla «carne» la causa dei disordini interiori:

«Se pertanto tua prigione è la carne, non dire questo del tuo corpo [in quanto tale], ma della corruttibilità del tuo corpo. […] Non appesantisce l’anima il corpo in quanto tale (poiché anche nell’aldilà avremo il corpo), ma il corpo in quanto soggetto a corruzione. Ciò che dunque costituisce la nostra prigione non è il corpo ma la corruttibilità del corpo»[5].

Il disordine generato dalla corruzione del peccato (carne o concupiscenza), non riguarda soltanto la materia, il corpo in sé, ma investe propriamente le facoltà dell’anima (la sensibilità, l’intelligenza, la volontà), le quali si trovano a dover combattere le passioni e i vizi che impediscono alla carità di regnare nel «cuore» dell’uomo.

«L’avarizia non è un vizio dell’oro, ma un vizio dell’uomo, che ama l’oro in modo perverso, dimenticando cioè la giustizia. […] Né la lussuria è un vizio dei corpi, ma un vizio dell’anima, che ama le voluttà corporali dimenticando la temperanza […] Questo è il motivo per cui colui che ama in modo perverso il bene di una natura qualsiasi, anche se l’ottiene, diviene egli stesso cattivo nel bene e infelice perché privo di un bene migliore»[6].

È necessario pertanto che la persona si sottometta a Dio, mediante la pratica delle virtù, affinché le passioni non abbiano il sopravvento sulla ragione nella scelta del bene e siano ordinate all’amore autentico. «Riconosci il vero ordine, cerca la pace: tu a Dio, la carne a te. Che cosa di più giusto, che cosa di più bello? Tu al maggiore, il minore a te. Servi tu a colui che ti ha fatto e servirà a te ciò che è stato fatto per te… Se non obbedirai al padrone sarai tormentato dal servo».[7]

È proprio l’amore il fine della purificazione e dell’ascesi cristiana e non la sua negazione, ma un amore ordinato al bene e non un amore dettato dalla concupiscenza o dai vizi: «Nessuno vi dice: non amate. Non sia mai! Sareste pigri, morti, detestabili, miseri se non amaste. Amate, ma state attenti a che cosa amate»[8].

Sant’Agostino evidenzia che l’opera della purificazione è faticosa e lunga, ma è essenziale, potremmo dire l’unica cosa necessaria, alla vita spirituale che è di per sé destinata alla visione beatifica: «In questa vita dunque, fratelli, tutto il nostro impegno è di guarire l’occhio del nostro cuore per arrivare a vedere Dio»[9].
Alcune precisazioni teologiche

Come ha rilevato Gilson, l’apparente dualismo anima-corpo in sant’Agostino va letto principalmente con riferimento alla problematica morale[10], proprio in continuità con la prospettiva biblica che pone alla base della tensione tra carne e spirito il peccato originale. Non è, infatti, dal “disprezzo” della carne, presente nella concezione platonica e più ancora in quella manichea, che si è sviluppata la dottrina del peccato originale, ma viceversa.[11] S. Agostino proprio su questo punto prende nettamente le distanze dagli schemi interpretativi filosofici, con una severa condanna tanto del platonismo quanto del manicheismo, pur continuando a servirsi liberamente del loro linguaggio[12].

Che poi S. Agostino si sia preoccupato di mantenere la continuità tra Sacra Scrittura e teologia lo si vede bene nel modo con cui egli imposta le sue riflessioni, nella frequenza delle citazioni bibliche e nella rigorosità con cui fa riferimento ai testi originali di cui disponeva. E anche sulla costituzione dell’uomo rispetta questa impostazione di fondo, per cui è assolutamente fuorviante l’affermazione secondo cui S. Agostino «spezza la tradizione ebraico-cristiana inaugurando una nuova antropologia».[13]
Inoltre, sembra che nella dottrina agostiniana sia esplicitamente affermata anche l’unità sostanziale di anima e corpo, come sostengono alcuni studiosi e come si evince da diversi passi delle sue opere.

«Più decisa è invece in Agostino l’affermazione dell’unione sostanziale di corpo e anima; basti citare quel che scriveva nel 420: “Chiunque voglia alienare il corpo dalla natura dell’uomo è folle (De an. et eius orig., IV,2,3); anima e corpo, pur essendo due res, cioè due realtà profondamente diverse, costituiscono un’unità nell’uomo (cfr In Jo. Ev., tr. XLVII, 12; De Trin., IV,3,5; VI,3,4). Nella Città di Dio si parla di unione profonda tra corpo e anima (XIII,6) e se ne fa l’argomento per difendere a fortiori l’incarnazione di Cristo (X,29,2)».[14]

Che, infine, il concetto di anima in senso cristiano non sia una invenzione di S. Agostino lo prova il fatto che il suo utilizzo fosse già presente in molti Padri della Chiesa fin dal II secolo e prima ancora nella Sacra Scrittura. Egli ha avuto il merito di esplicitare in modo più ampio e dettagliato quanto gli altri teologi cristiani non avevano ancora avuto modo di esprimere compiutamente. Tuttavia, bisognerà attendere la riflessione successiva per giungere ad una piena e definitiva (almeno su alcuni punti essenziali) chiarificazione antropologica, che si avrà con S. Tommaso d’Aquino e la ricezione da parte del magistero ufficiale dei suoi enunciati, frutto di un confronto critico con la filosofia Aristotelica.

Un modello da seguire per l’inculturazione del Vangelo
Alla luce di quanto qui evidenziato brevemente, ci sembra importante concludere sottolineando che l’esempio del dialogo di S. Agostino con «i platonici» può essere un valido modello da imitare per una crescita fruttuosa della teologia in ogni momento storico e in riferimento a qualsiasi cultura. Nonostante il rischio di un possibile fraintendimento, è sempre opportuno che la teologia si confronti con il pensiero non cristiano, frutto di una autentica ricerca di verità sull’uomo, per assumerne le acquisizioni compatibili con la verità rivelata e per purificarne gli aspetti oscuri o le incongruenze, illuminando con la sapienza che viene dall’unico Dio l’intera umanità. Se la Chiesa saprà continuare a compiere quello sforzo di dialogo che fu caratteristico dell’epoca patristica e che ha in S. Agostino uno degli esempi più luminosi, vedrà senza dubbio il frutto di un rinnovamento non solo della teologia, ma anche una fioritura di fede in quegli ambiti che saranno stati permeati dalla Verità e dalla Sapienza del Vangelo, attraverso l’impegno della ragione per favorire una sempre maggiore intelligibilità della fede.


[1] Sant’Agostino, La città di Dio, Introduzione, traduzione, note e appendici di Luigi Alici, Ed. Rusconi, Milano 1994, p. 1200.

[2] Corpo, in A. Fitzgerald (ed.), Agostino. Dizionario Enciclopedico, Roma 2007, p. 479.

[3] Sant’Agostino, La città di Dio, Introduzione, traduzione, note e appendici di Luigi Alici, Ed. Rusconi, Milano 1994, p. 1200.

[4] XIV,3,1.

[5] Esposizione sui Salmi, 141,18-19. «Nella concezione platonica e neoplatonica è implicito un presupposto che manca in Agostino: il corpo è la materia e la materia è male, fonte di ogni male e corruzione; perciò l’anima per recuperare e intendere la sua vera e integra natura, deve separarsi dal corpo, sua prigione. Diverso il discorso agostiniano, sebbene talvolta il santo dottore dia lo spunto di una simile interpretazione platonica» (M. F. Sciacca, Introduzione a Opere di sant’Agostino, La Trinità, vol. IV, Ed. Città Nuova, Roma 1973, p. LXX).

[6] La città di Dio, XII,8. Cf A. Trapè – C. Sorsoli – L. Dattrino, “Agostino (santo)”, in Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, I, 56-57.

[7] Esposizione sui Salmi, 143,6. L’insegnamento di S. Agostino su questo punto non è isolato, ma si ritrova anche presso altri Padri. S. Gregorio Magno scrive ad esempio: «Noi infatti siamo così mirabilmente ordinati, che la ragione deve dominare l’anima, e l’anima il corpo. Ma il diritto dell’anima sul corpo è illusorio, se prima essa non è regolata dalla ragione. Il Signore dunque ci addita la pazienza come tutrice dell’ordine naturale che è in noi, insegnandoci come in essa possederemo noi stessi» (S. Gregorio Magno, Regola pastorale, III, 11).

[8] Esposizione sui Salmi, 31; Discorsi 2,5.

[9] Discorsi, 88,5. L’anima «non deve acquietarsi nel corpo o nel mondo corporeo, né dimenticare il corpo o separarsi da esso – verrebbe meno lo scopo per il quale è stata creata – anzi deve governarlo sino a riconquistarlo alla sua spiritualità; la vera ascesi è dell’uomo intero ed è aspirazione a Dio, Sommo Bene dell’uomo. […] Perciò lo sforzo ascetico – che ha punti di contatto con il platonismo, ma non è platonico o lo è nella misura in cui il platonismo stesso ha un significato cristiano – ha uno scopo preciso. […] L’itinerario della mente non sviata dall’errore è il medesimo della volontà non corrotta o sviata dal male; l’uomo che cerca la sua pace o l’attuazione piena del suo ordine intrinseco, cerca vuole ama Dio» (M. F. Sciacca, Introduzione a Opere di sant’Agostino, La Trinità, vol. IV, Ed. Città Nuova, Roma 1973, p. LXX-LXXIII).

[10] Cf E. Gilson, Introduction à l’étude de Saint Augustin, Paris 1949, p. 58.

[11] «Non è di peso all’anima il corpo, bensì il corpo corruttibile. Da qui le parole della nostra Scrittura, che noi abbiamo ricordato nel libro precedente: Un corpo corruttibile appesantisce l’anima (Sap 9,15). Con l’aggiunta del termine “corruttibile” risulta che l’anima non è appesantita da un corpo qualunque, ma soltanto da quello che è divenuto tale in conseguenza del castigo per il peccato» (S. Agostino, La città di Dio, XIII,16,1).

[12] Questo aspetto è  trattato senza possibilità di equivoci in La città di Dio, XIV,5.

[13] Cf. U. Galimberti, l.c., p. 36. A proposito di questo problema S. Agostino scrive: «Diranno forse che non si esprime di solito in questo modo la Scrittura divina? Al contrario, essa concorda a tal punto con noi, che anche quando queste due parti [anima e corpo] sono congiunte nella vita dell’uomo adopera tuttavia il termine uomo per ciascuna di esse, chiamando l’anima uomo interiore, il corpo uomo esteriore, come se si trattasse di due uomini, mentre in realtà sono soltanto uno» (S. Agostino, La città di Dio, XIII,24,2).

[14] Sant’Agostino, La città di Dio, Introduzione, traduzione, note e appendici di Luigi Alici, Ed. Rusconi, Milano 1994, p. 1200.

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