L’ermeneutica linguistica di un testo (biblico teofanico/apocalittico o di mistica cattolica)

Gesù Cristo, personalmente, non ha lasciato nulla di scritto. La natura stessa di un testo, proprio perché porta con sé la possibilità di interpretazione, tende a sfuggire continuamente da ciò che veramente è detto, con le parole e con la vita stessa, con l’esserci e l’operare, nel nostro caso del Verbo Incarnato; sappiamo che il testo del Vangelo è divinamente ispirato e vivificato dallo Spirito, ma occorre che sia anche interpretato nello stesso Spirito dato agli Apostoli per incontrare il Santo Volto nella Verità (Gv 16,13-15; Gv 14,1ss; 1Gv 4,1ss; 1Gv 5,6-10). Egli si è lasciato conoscere dai suoi attraverso due percorsi differenti e complementari; il vivere con lui, ascoltando e vedendo la sua persona, e attraverso l’incontro mistico, tradizionalmente rappresentato dall’esperienza dell’Apostolo Mistico Paolo di Tarso, negli scritti dell’Apostolo Giovanni, la Trasfigurazione su Tabor, ma anche attraverso le numerose apparizioni e rivelazioni dopo la risurrezione e negli atti lucani. I testi che ci trasmettono l’esperienza dell’incontro con il Dio rivelato in Cristo Gesù, presentano difficoltà interpretative per la filosofia del linguaggio; tuttavia “dire l’indicibile” non è una novità dell’ermeneutica linguistica contemporanea ma appartiene alla natura stessa della Rivelazione, conosciuta fin dai Padri Apostolici e dai Padri della Chiesa.

L’approccio linguistico ad un testo religioso e ancor più per un testo mistico, nasce dalla possibilità o meno di «dire Dio» e di «dire il detto di Dio». Gli autori dei testi sono chiamati a scrivere cose che «non si possono descrivere», affermano spesso che non hanno parole adatte per esperienze che «non si possono spiegare». Questa oggettiva difficoltà di comunicare l’esperienza soggettiva di Dio è caratteristica ontologica del comunicarsi del Creatore nella e alla creatura; la Verità ontologica del Verbo si comunica nella limitatezza e finitezza adamitica dell’uomo. Questa dinamica relazionale della comunicazione mistica, intima tra Dio e l’uomo è assunta indebitamente dal contesto culturale contemporaneo, per il quale, proprio perché per sanzione logica e metodologica «di ciò che non si può parlare si deve tacere», di tale dinamica relazionale si deve fare silenzio o al più studiarne i «rumori semantici». Ma l’esperienza ispirata o mistica della “Parola” comunicata nel testo non è solamente un linguaggio dell’uomo su Dio ma primariamente un linguaggio di Dio nell’uomo e per l’uomo; anche per questo nel «dirsi» testualmente, nel comunicarsi è semanticamente «indicibile». I criteri linguistici applicati alla Sacra Scrittura e ai testi di mistica colgono le «note musicali» di uno spartito senza chiave melodica e pentagramma su cui collocarle; così la melodia della comunicazione divina risulta un rumore psichico di natura antropologica o tutt’al più l’arte della comunicazione umana di scrivere su Dio. Leggi tutto “L’ermeneutica linguistica di un testo (biblico teofanico/apocalittico o di mistica cattolica)”