La teologia dei mistici /1

Quali categorie teologiche per accedere correttamente alla “mistica”

Precisiamo cosa si debba intendere per teologia mistica citando un autore oggi poco considerato ma molto interessante:

“Chiamiamo teologi mistici quelli che hanno provato esperienze divine e hanno misteriosamente gustato Dio. Di questa sceltissima schiera, gran parte è ascritta nel catalogo dei santi […] Si può parlare di una triplice teologia: la prima, che tratta delle definizioni di fede, ricondotta a metodo con non poche fatiche, basata su testi sacri, sui Concili e sui Padri, armata di argomentazioni […] La seconda è detta positiva, ossia quasi espositiva. Con gli insegnamenti dei Padri, la conoscenza delle lingue, l’approfondito esame dei testi […] in termini propri, oppure simbolica, quando applica a Dio denominazioni o metafore, cogliendole dalle creature. La terza, che non discute come la scolastica né concepisce le divine rivelazioni con termini presi in senso proprio o traslato come la positiva, ma tralasciati ragionamenti e nomi, con l’intelletto stupito oltre qualsiasi immagine creata e con la volontà sollevata più in alto, gusta e abbraccia Dio. Il magistero di questa teologia appartiene solo a Cristo, che istruì Paolo” (Giovanni di Gesù Maria Calagorritano, La teologia mistica, 8-9).

Nei prossimi articoli evidenzieremo che il Calagorritano è sulla stessa linea interpretativa dei dottori mistici carmelitani e delle opere di San Dionigi Areopagita[1], discepolo dell’apostolo Paolo Dottore Mistico per eccellenza: la teologia mistica è l’esperienza spirituale di gustare, per gradi di partecipazione, l’unione con Dio. La via principale non è quella dell’intelletto che si applica sull’oggetto contemplato, ma l’unione della propria volontà con la volontà di Dio. L’intelletto è accecato dalla tenebra luminosissima della presenza di Dio che è amore, che scalda con un fuoco invisibile la notte oscura dell’anima. Voler amare l’amore è voler ciò che Egli vuole sopra ogni comprensione intellettiva.

 “I teologi mistici espongono molti concetti in modo troppo semplice ed in maniera troppo poco esplicita e distinta per poter essere intesi da un lettore poco attento. […] Scambiano l’atto della volontà con quello dell’intelletto, come quando alla percezione, al gusto, all’esperienza di Dio, tutti termini che si riferiscono alla volontà, attribuiscono i termini di visione, notizia o conoscenza, come si fa per i sensi esterni. […] Tre sono le cose difficili in  questa teologia. La prima, se possa accadere che Dio sia dall’uomo più amato che conosciuto; la seconda se, senza alcun atto dell’intelletto, la volontà possa percepire Dio; la terza se possa avvenire che l’intelletto e la volontà, subiscano divini interventi senza produrre atti propri” (Giovanni di Gesù Maria Calagorritano, La teologia mistica, 10-11).

È il linguaggio dei mistici a dover essere osservato attentamente, perché tentando di descrivere la loro esperienza si affidano ad un linguaggio simbolico e non procedono per definizioni. La questione semantica nell’uso dei termini e il loro contesto, sono essenziali per accedere, seppur indirettamente, alla loro conoscenza esperienziale di Dio; accedere per noi sarà solo un tentativo più o meno goffo, ma certamente dobbiamo evitare di far dire ai mistici cose che non hanno nemmeno sognato e che appartengono piuttosto alla nostra immaginazione o a nostro scetticismo razionalista.

“lo Spirito Santo con il fuoco del suo amore tocca ed infiamma il supremo apice dell’affetto cioè, secondo la dottrina tramandata, la sommità stessa della volontà o quella sua parte che corrisponde alla parte superiore dell’intelletto. […] Da quel tocco infatti sembra le sia impresso un tale moto o impulso da essere trasportata in Dio come nel suo centro, alla maniera che per il contatto con la calamita viene impresso ad aghi di ferro l’impulso con cui sono mossi sempre verso il polo o vertice del mondo. Ed è questa la parte più segreta della teologia mistica” (Giovanni di Gesù Maria Calagorritano, La teologia mistica, 48).

La metafora della calamita indica l’azione di Dio nel centro dell’anima a cui non è possibile opporsi. San Giovanni della Croce scrive che ad essere “sospese” sono le facoltà dell’anima (intelletto, memoria, volontà),  le quali vengono direttamente condotte da Dio. Per i mistici, dire «in fondo all’anima» o «nell’alto dei cieli»[2] è dare una direzione che supera il proprio orizzonte, un tentativo di descrivere il movimento, la dinamica dello Spirito che attira come una calamita gli aghi di ferro delle facoltà dell’anima.

 


[1] Diversamente, per gli studiosi moderni, le opere sono attribuite ad un anonimo sconosciuto, lo Pseudo-Dionigi, che avrebbe utilizzato il nome Dionigi areopagita per vezzo intellettuale; al vaglio del metodo storico-critico, non essendo queste opere citate nei primi secoli dell’età patristica, se ne afferma con audacia la loro non autenticità. Ad altri studiosi non interessa chi sia l’autore ma attribuiscono al testo un valore perenne. Dal nostro punto di vista, considerando la mistica un’azione divina nell’uomo, attribuire la validità del testo ad un falsario che si attribuisce l’identità di altro è per lo meno incongruente. Meglio per noi sospendere il giudizio sugli studi recenti e attendere che ulteriori studi dimostrino che la tradizionale attribuzione dei testi a san Dionigi (per esempio da parte di san Bonaventura e San Tommaso d’Aquino) sia autentica. Le opere in greco del Dionigi non erano conosciute nel mondo latino o se lo erano in quello greco non potevano essere citate perché ponevano dei problemi interpretativi nel contesto delle eresie cristologiche e trinitarie. In oltre è lo stesso Dionigi a scrivere di non far conoscere queste opere ai non “iniziati” alla teologia mistica, una teologia che procede per esperienza personale e per negazione, prestandosi in quel contesto ad essere usate “autorevolmente” contro l’autorità ecclesiastica, dando più valore all’esperienza mistica soggettiva che alla Tradizione Apostolica difesa con la vita dai Padri della Chiesa.

[2] San Paolo nelle sue lettere parla di rapimento al terzo cielo, se con il corpo o senza il corpo non è in grado di capirlo.

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