Inferno e Misericordia

Ermeneutica dell’Inferno nell’eterna Misericordia

Interpretare la realtà eterna dell’Inferno come possibilità reale della libera e consapevole scelta dell’uomo. Richiamare le posizioni, antiche e mai sopite, sulla questione escatologica dell’Inferno eterno aiuta ad esplicitare la nostra riflessione.

Posizioni antiche e recenti

In sintesi le posizioni sull’esistenza o meno dell’Inferno eterno, osservate criticamente, si ripropongono anche nell’odierna ermeneutica escatologica che coinvolge la vita morale e spirituale; l’apocatastasi[1] che vede l’anima dannata reintegrarsi nella Gloria attraverso un percorso di purificazione; le posizione gnostiche[2] che si riassumono nel considerare il destino del malvagio un Inferno senza eternità perché estinto e consumato dal fuoco; prendiamo una distanza critica anche dalla tesi dell’Inferno pedagogico di H. U. Von Balthasar[3] (da lui sostenuta o a lui attribuita) che è ritenuto vuoto per sostenere la speranza evangelica che tutti si salvino; posizione antica[4] e sempre nuova è anche quella espressa da A. Piolanti[5], approccio tradizionale in continuità con l’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica[6].

Se l’inferno non fosse possibile, il sacrificio di Gesù Cristo, Nuovo Adamo, sarebbe salvifico a prescindere dai peccati degli uomini. Si negherebbe indirettamente il valore salvifico della Croce. Se fosse ammissibile l’apocatastasi di Origene per il diavolo e le anime dannate, dovremmo ammettere la possibilità di uscire dal paradiso per le anime sante; se si fonda sulla volontà divina di salvare tutti comunque, il paradiso sarebbe un carcere obbligatorio, una gioia “drogata” che non ha nulla  a che fare con pace e la gioia eterna di poter amare ed essere amati nella libertà; se si fonda sulla libertà di pentimento a causa dei dolori dell’inferno, non ci sarebbe amore per Dio ma convenienza e lo stesso principio dovremmo applicarlo anche per le anime in paradiso, che sarebbero libere di pentirsi e di abbandonare l’amore eterno.

Intellettualizzare il discorso sull’Inferno ci allontana da una riflessione cogente: l’inferno esiste realmente ed è presente in forma dinamica e non passiva. Le anime dannate, come gli angeli decaduti, odiano dinamicamente il Creatore, le creature e se stessi in quanto creatura.

Osservazioni ermeneutiche e approfondimenti

 L’aporia tra l’infinita misericordia di Dio e la dannazione eterna è all’origine delle posizioni[7] che sostengono la riduzione o l’eliminazione delle due verità in apparente contraddizione. Dio che è amore pare non possa essere contemporaneamente autore della condizione definitiva di dannazione per l’uomo che si ribella consapevolmente al suo volere. Da un altro punto di vista pare che il volere dell’uomo dannato non possa persistere per l’eternità nel ribellarsi a Dio e che prima o poi debba cedere all’Amore Eterno del suo creatore. Forse il punto centrale della questione è come interpretare la condizione particolare in cui la volontà divina e la volontà umana si oppongono totalmente fino ad oltrepassare la morte. Nel nostro caso specifico, senza voler semplificare, specifichiamo che la volontà divina consiste nel voler salvare l’uomo peccatore nel suo Amore Misericordioso reso possibile attraverso l’incarnazione, la croce e la risurrezione; la volontà dell’uomo è quella di non voler essere salvato da nessuno per vivere la propria vita «amando» se stesso più di ogni altro fino a separarsi da Dio e dagli altri. Nell’opporsi delle due volontà il movimento non è reciproco ma univoco; Dio cerca l’uomo con Amore e l’uomo fugge Dio «amando» se stesso. Se questa condizione persiste fino alla morte dell’uomo, fino al suo trapasso, con il «giudizio particolare» la condizione permane nella sua libera direzione assunta senza possibilità di ritorno. Anche se non è ricambiato, Dio Amore, non odia l’uomo che ha creato a sua immagine e somiglianza con il fine di renderlo partecipe per l’eternità della sua natura divina. L’uomo che si oppone al volere di Dio dove può «rifugiarsi»? Possiamo immaginare un «luogo» dove non ci sia l’Amore di Dio? Anche chi si volesse opporre per sempre a Dio troverebbe comunque il suo Amore, proprio in virtù dell’atto d’amore nel crearci a sua immagine e somiglianza. Il destino della creatura umana è legato inevitabilmente al suo creatore; essa può rifiutare il creatore ma non di essere creatura. Il considerare questa realtà ineludibile ci permette di affermare che l’Inferno e la dannazione eterna non sono una realtà estranea a Dio, ma una conseguenza libera e volontaria dell’uomo di opporsi senza poter essere non amato dall’Amore. Obbiettivamente non esiste condizione peggiore per una creatura umana, tormentata dall’odio crescente, nell’opporsi all’Amore inestinguibile del creatore. L’Amore di Dio non può contraddire la sua essenza e l’odio del dannato che odia se stesso perché creatura amata, non vuole essere amata e anche se lo volesse, dopo la morte non lo potrebbe; con la morte l’uomo di fronte alla verità di sé e di Dio non ha scusanti se sceglie di non essere amato per l’eternità per amore di se stesso[8]. Il dannato non vuole essere amato da Dio e anche se per assurdo lo volesse non lo potrebbe, perché Dio dovrebbe «non amarlo» per permettergli di essere amato per se stesso e questo è impossibile alla natura stessa di Dio. Se è vero che Dio non può non amare è altrettanto vero che il dannato non può amare; come può morire a se stesso per amare l’Altro chi consapevolmente fino alla morte ha amato se stesso[9] fino ad odiare l’altro? La vocazione dell’uomo nell’essere reso partecipe della vita divina è liberamente rovesciata  nel voler essere dio ed essere serviti da Dio; questo tentativo assurdo persiste per l’eternità per volere stesso del dannato e per la natura stessa dell’Amore che richiede la libertà[10] nell’amarsi tra creatura e Creatore. Le anime «ribelli» che fanno della libertà una ribellione sono da una parte «chiuse» alla misericordia di Dio nella loro libera e colpevole scelta e dall’altra «chiuse» nella Giustizia divina che glorifica l’Amore di Dio nella duplice direzione: rispetto ai dannati in Cristo[11] in quanto confermati nella loro libera separazione senza contraddire l’essere Dio d’Amore; rispetto ai redenti in Cristo in quanto uniti per sempre all’Amore Divino perché  resi partecipi del  Regno  Eterno del Padre ereditato dal Figlio unigenito. Una possibile soluzione all’aporia tra l’infinita misericordia di Dio e la dannazione eterna la possiamo cercare nel duplice effetto dell’Amore Divino espresso metaforicamente nel linguaggio biblico e mistico del fuoco-fiamma. Il duplice effetto dipende dalla scelta libera della creatura; volgiamo evidenziare tra il fuoco dell’Amore Divino e il fuoco dell’Inferno[12] un legame di convergenza di contenuto oltre il significato letterale e una divergenza di contenuto nel nuovo campo semantico dischiuso dalla metafora rispetto al soggetto ricevente. La metafora del fuoco nel linguaggio biblico e mistico indica  nella sua apertura semantica una convergenza di contenuto che si evidenzia nella presenza-azione di Dio e una divergenza di contenuto riguardo agli effetti che il «fuoco» produce nei riguardi dell’uomo; la diversa conseguenza sull’uomo dipende dalla sua diversa relazione con Dio. Procederemo nell’evidenziare la convergenza di contenuto semantico nell’uso della metafora del fuoco in alcuni passi della Sacra Scrittura per indicare l’azione e la presenza di Dio. Tale fondamento scritturistico ci permette di individuare nella vita dei mistici l’uso della metafora del fuoco per comunicare l’amore ardente di Dio e la condizione del fuoco eterno nell’Inferno per le anime dannate.

 Punto d’arrivo

L’aporia tra l’infinita misericordia di Dio e la dannazione eterna può trovare una luce chiarificatrice nell’osservazione biblica e mistica nella metafora del «fuoco» nei suoi diversi significati. L’anima mistica sperimenta «la fiamma» purificatrice dell’amore di Dio in questa vita terrena perché attratta come una calamita nelle «faville» dello Sposo; sperimenta l’allontanamento da Dio essendone immersa nell’unione trasformante, come approfondisce San Giovanni della Croce. Anche nella Sacra Scrittura troviamo la conferma della metafora del «fuoco» utilizzata per indicare la presenza-azione dell’Amore di Dio e per indicare la condizione eterna dei malvagi. Intendiamo precisare che quando la descrizione dell’Inferno avviene attraverso il linguaggio della metafora del «fuoco» non esclude che il «fuoco» sia reale. La «distruzione» del significato letterale nella semantica ermeneutica del linguaggio metaforico, che apre ad un diverso livello di significato[13], non distrugge la realtà osservata e descritta dall’autore della metafora; nel nostro caso il «fuoco dell’inferno» o il «fuoco dello Spirito Santo» a pentecoste appartengono alla realtà e non sono solamente accessibili dalla semantica del linguaggio metaforico.

 

 

 


[1] Esplicita posizione di Origene, in particolare nell’opera De principii.

[2] Posizione dei Valentiniani e dei Manichei sul concetto di male e sul destino del malvagio (la gnosi salva dal male; il corpo è luogo di dannazione e luogo dell’Inferno; il malvagio viene estinto e consumato dal fuoco).

[3] Tesi di Balthasar in Breve discorso sull’inferno.

[4] «Non si deve ascoltare nemmeno coloro i quali affermano che l’inferno corrisponde allo svolgersi della vita presente e che non esiste dopo la morte; ma se la vedano essi in qual senso interpretare le finzioni poetiche. Noi non dobbiamo allontanarci dall’autorità delle Sacre Scritture, alle quali solo dobbiamo prestare fede a proposito di questo problema» (Sant’Agostino, La Genesi alla lettera, XII,32,62).

[5] La posizione tradizionale e apologetica del Piolanti in La comunione dei Santi e la vita eterna, 411-450.

[6] Cf. Catechismo Chiesa Cattolica, n. 834, n. 1033ss, n. 1861.

[7] Apocatastasi; consumazione nel fuoco per la gnosi; riduzione pedagogica in ordine alla speranza per H.U. Von Balthasar o un certa concezione particolaristica della salvezza di matrice ebraica o un formalismo rigido e elettivo di radice giansenistica.

[8] «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salverà» (Lc 9,24).

[9] « Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. […] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,40-46).

[10] Andrebbe approfondito il tema della libertà dell’uomo prima e dopo la morte; ci limitiamo a sottolineare che la libertà dell’uomo rivelata in Gesù Cristo si realizza nell’adesione alla Verità che ci fa liberi di amare nell’Amore. Se ci si oppone alla Verità si sceglie un’altra «verità» che è menzogna che rende schiavi. Deve essere chiaro che l’atto morale incide sulla capacità di attuare l’atto morale successivo; un atto veramente buono rende l’uomo libero e capace di atti buoni, un atto veramente cattivo mortifica la capacità di atti buoni, inclina al peggio e riduce l’uomo schiavo del peccato. Nell’Inferno non c’è più libertà perché persa a causa della scelta libera di preferire la menzogna alla Verità; nell’Inferno eterno si è schiavi della menzogna e dell’odio che cresce e si alimenta da se stesso senza che sia Dio a causarlo. La «verità vi farà liberi» non appartiene all’esistenza di chi si è opposto liberamente alla verità preferendo la menzogna, di chi è diventato schiavo di se stesso e del grande peccato con accecante superbia.

[11] «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti» (Lc 2,34); «egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà […] il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,9-10); «quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,29).

[12] Un terzo significato del fuoco è da considerarsi per le fiamme del Purgatorio, chiarendo la condizione purificatrice temporanea e non infinita delle anime.

[13] Un nuovo livello conoscitivo aperto dal linguaggio metaforico che P. Ricoeur chiama verità metaforica o referenza della metafora.

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