Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2

Una ulteriore riflessione la dobbiamo fare  sul contenuto semantico del termine “dimensione spirituale” che a causa dell’ambiguità con la “dimensione psichica” genera equivoci sul piano teorico ed errori sul piano pratico. 

b) La dimensione spirituale è la vita psichica?

La seconda questione è relativa alla dimensione spirituale dell’uomo che l’autore identifica con il terzo livello di vita psichica:

Il primo livello è quello degli appetiti fisiologici. […] nel secondo livello ci sono tendenze all’azione che non sono attivate da stati fisiologici, […] si tratta di un livello che ci permette di sviluppare una vita di relazioni, […] per  questo si può chiamare il livello psico-sociale. Infine c’è il livello di vita spirituale, razionale. Gli esseri umani posseggono la capacità, il potere di afferrare la natura delle cose estraendola dai dati dei nostri sensi. […] Questo potere astrattivo dell’uomo è chiamato intelligenza o ragione («spirito») che è qualcosa la quale – come opposta alla materia – ha dimensioni non misurabili, non ha parti, e non è nel tempo e nello spazio[1].

L’autore non intende ridurre l’esperienza religiosa solo ad un fatto psicologico senza fondamento oggettivo e rivelato[2], ma quando definisce la natura spirituale dell’uomo, se non la riduce, almeno la considera solo nella sua dimensione psichica che chiama di terzo livello, che è la natura intellettiva e razionale dell’uomo.

Ora, se la dimensione spirituale coincide con la natura razionale, quando questa è compromessa da gravi limiti psichici, nel caso estremo da una malattia mentale o da un handicap psico-fisico, l’anima non c’è più? La dignità dell’uomo è compromessa irrimediabilmente? E nel caso della morte? L’uomo non ha più l’apparato biologico che gli permette di ragionare. Per questo dovremmo affermare che l’anima è mortale? L’idiota non ha un’anima e una dignità? Senza citare la teoria ilemorfica che ci porterebbe lontano, ci sembra di poter affermare che la natura spirituale dell’anima non coincide con l’intelletto il quale è una facoltà dell’anima e non l’anima.

Inoltre, se la dimensione spirituale dell’uomo può essere compromessa dai limiti psichici, ne consegue che la santità non è possibile per i nevrotici; solo le persone equilibrate, e direbbe lo studio di Rulla, consistenti e senza gravi inconsistenze motivazionali tra valori, bisogni e atteggiamenti, sono capaci di cammino di santità e di efficacia apostolica. Divergiamo da questa visione riduttiva, in quanto la santità è opera dello Spirito Santo, la vocazione alla santità è per tutti a prescindere dai loro limiti biologici e psichici, solo il limite dell’atto morale cattivo ci allontana dalla possibilità di essere resi santi nello e dallo Spirito.

Il limite psichico dell’inconsistenza non sembra per l’autore impedire la vita cristiana ma l’autentica chiamata vocazionale o almeno la perdita dell’efficacia apostolica[3], anche per quanto riguarda le istituzioni ecclesiastiche[4]:

Sembra che la Grazia abituale non tocchi le forze inconsce, ma agisca solo tramite le consce. In altre parole, le forze inconsce e non auto-trascendenti tendono a persistere nella loro opposizione alla autotrascendenza. […] le inconsistenze inconsce limitano la libertà effettiva della persona; questa limitazione non tocca la santità soggettiva ma quella oggettiva, come pure l’efficacia apostolica che da essa dipende; […] quest’ultima dialettica [tra conscio e inconscio] è presente nonostante l’azione dello Spirito[5].

Se è la ragione il perno della autotrascendenza teocentrica che per l’autore coincide con la dimensione spirituale, quando si agisce sotto l’influsso dell’inconscio con bisogni che motivano il mio agire in contrasto con i valori  che professo esternamente (vedi le inconsistenze), la razionalità che porta all’autocoscienza e quindi all’autotrascendenza è compromessa; perdo di efficacia apostolica e di autenticità della vocazione[6] nonostante l’azione santificante dello Spirito Santo nell’uomo; secondo lo studio di Rulla, costui sarebbe soggettivamente santo ma non oggettivamente santo[7].

Immaginiamo di applicare questa prospettiva antropologica all’interpretazione della vita spirituale dei santi e in particolare dell’esperienza dei mistici pervenuteci attraverso i loro scritti; se i limiti psichici inconsci minano l’efficacia apostolica di coloro che attraverso la dinamica relazionale testimoniano il vangelo nel mondo, cosa dobbiamo dire di coloro che rendono testimonianza con i loro scritti o la loro vita di preghiera? In altri termini, se i limiti psichici e inconsci ci possono rendere scorbutici e poco empatici con il prossimo, dobbiamo per questo ritenere che una monaca di clausura che offre in sacrificio la propria vita, come per esempio Santa Teresa di Lisieux patrona delle missioni, non possa avere per opera dello Spirito Santo efficacia apostolica? O gli scritti di un teologo non possono essere il tramite di un’autentica testimonianza cristiana capace di portare frutti di santità anche apostolica? I mistici sono generalmente considerati dai loro contemporanei poco integrati nella dinamica comunitaria ed ecclesiale; sono giudicati incapaci di frutti apostolici proprio per la loro vita spirituale caratterizzata da fenomeni ed esperienze mistiche che non mettono in evidenza la capacità di leadership affettiva e relazionale con il prossimo; la carità di un mistico può esprimersi anche con la durezza dei modi di trattare con un peccatore per il suo bene, come fece spesso San Pio da Pietrelcina.

 


[1] L.M. Rulla, 91-92.

[2] «posizione tenuta da C.G. Jung, da G.W. Allport e V. Frankl» (L.M. Rulla, 46).

[3] «minore efficacia apostolica o minore perseveranza: si fa il nido nella vocazione» (L.M. Rulla – F. Imoda – J. Ridick, Struttura psicologica e vocazione: motivazioni di entrata e abbandono, 63, tabella XVI).

[4] L.M. Rulla – F. Imoda – J. Ridick, 14-15. In particolare dove si tratta della sesta utilità dello studio nei confronti «della vita comunitaria ed all’efficacia apostolica delle istituzioni ecclesiali».

[5] L.M. Rulla – F. Imoda – J. Ridick, 203.

[6] Perdita di efficacia e di autenticità vocazionale che gli autori di questo studio ritengono di poter prevedere anticipatamente e conseguentemente ritenere il soggetto esaminato con la vocazione o meno: «Predizione (elemento di -), processo di inferenza compiuto nei confronti di un evento futuro sulla base di giudizi formulati mediante misurazione di processi passati o presenti. Per esempio, nella teoria qui esposta il grado di consistenza/inconsistenza di un individuo al momento della sua entrata in vocazione può costituire uno degli elementi di predizione per la sua efficacia e perseveranza nello stato vocazionale» (L.M. Rulla, Psicologia del profondo e vocazione: le persone, vol.1, 283).

[7] Non è dato di chiarire cosa significhi e quale sia la distinzione tra la santità soggettiva e la santità oggettiva.

Una risposta a “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2”

  1. Nel dire “solo il limite dell’atto morale cattivo ci allontana dalla possibilità d’essere resi santi nello e dallo Spirito” si afferma la più alta dignità della libertà umana a partire dall’amore di Dio per tutte le sue creature
    che rende libere sin dalla nascita e sino alla morte nutre quella speranza inesauribile di conversione.
    Il limite creaturale dell’uomo lo pone dinanzi ad un grande desiderio spirituale che sfugge al suo controllo,
    cosicchè diventa un limite psichico che blocca il suo cammino fin tanto che la persona non si “abbandona” al suo essere finito e si percepisce per ciò che è: una libera creatura nelle mani di Dio.

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