Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /1

Osservazioni sull’auto-trascendenza teocentrica in L.M. Rulla[1]

Il tentativo di coniugare la dimensione psichica con quella spirituale è ben rappresentato nella psicologia del profondo. Il nostro sforzo si concentra nell’individuare gli aspetti positivi e critici di questo modello teorico, oggi piuttosto diffuso negli ambienti formativi cattolici.

Il contesto antropologico di questo studio di Rulla è quello della vocazione cristiana con lo scopo educativo d’aiutare la persona umana a conoscere ed a vivere meglio la sua vocazione:

“questo studio in fondo cerca dei principi di formazione vocazionale, che portino le persone ad una più completa formazione umana e cristiana. […] si propone tre domande: chi è la persona umana? Chi è l’humanum cristianum, cioè la persona umana in quanto è stata toccata dalla redenzione di Cristo e della sua Grazia? Chi è l’humanum cristianum nei momenti, nei passi più salienti del cammino della fede proprio della vocazione cristiana?”[2]

Accanto ad una antropologia teologica si ritiene necessaria una «antropologia naturale»[3] dove si cerchi di dimostrare la capacità di autotrascendenza e dell’autotrascendenza teocentrica, da una prospettiva interdisciplinare che coinvolga la filosofica, la teologica e le scienze psico-sociali[4]. L’approccio psico-sociale con un metodo induttivo-empirico[5] è volutamente esplicitato per «una visione più realistica dell’uomo» accogliendo elementi ermeneutici provenienti dalle varie scienze dell’uomo[6]. Non tenere conto della dimensione psicologica dell’uomo, e in particolare l’influenza dell’inconscio nella scelta vocazionale, è una «dimenticanza» che questo studio si propone di colmare. L’autore trae una conseguenza di contenuto affermando che «la teologia non è antropologia» e una conseguenza di metodo che necessita per logica il «tenere distinti gli elementi antropologici da quelli teologici»[7] pur affermandone la loro complementarietà.

Tra gli altri, il pregio di questo studio è quello di individuare i principi per una antropologia cristiana che sappia confrontarsi, su basi interdisciplinari, con le scienze e le filosofie moderne ponendosi in dialogo critico[8]. Uno studio che con chiarezza prende le distanze da diversi modelli inconciliabili con l’antropologia cristiana e denuncia un processo di assimilazione di questi modelli, nei luoghi formativi per le vocazioni sacerdotali[9].

Poniamo tre questioni che interessano l’approccio ermeneutico all’esperienza mistica per evidenziare la diversa conclusione interpretativa generata da un discernimento con modelli antropologici differenti.

 a) Due realtà nell’uomo?

L’affermazione antropologica iniziale dell’autore distingue due realtà nell’uomo: nella natura umana c’è la possibilità, la «capacità» di autotrascendersi teocentricamente e anche un’altra realtà antropologica fatta di limiti insiti nella persona umana che possono più o meno ostacolare la libertà dell’uomo per vivere la sua tendenza all’autotrascendenza teocentrica.

In primo luogo c’è la possibilità, la capacità di autotrascendersi teocentricamente, cioè di oltrepassare sistematicamente se stesso, tutto ciò che egli ha acquisito, tutto ciò che pensa, vuole e realizza, tutto ciò che è, per proiettarsi al di là della sua situazione presente e raggiungere Dio come obbiettivo ultimo. […] In secondo luogo, l’appello Divino trova un’altra realtà antropologica: si tratta di limitazioni di varia natura insiti nella persona umana, le quali in ultima analisi possono più o meno ostacolare la libertà dell’uomo per vivere la sua tendenza antropologica all’autotrascendenza teocentrica[10].

Nella natura psichica dell’uomo, costituente la sua personalità, è postulata teoricamente ma non si chiarisce a sufficienza l’azione della grazia nel soccorre i limiti insiti nella persona umana quando sono consapevoli e dunque definibili peccati colpevoli e quando invece la grazia trascende i limiti psichici in quanto deficienze naturali. Nell’analisi della vocazione cristiana nelle sue dinamiche antropologiche, pare evidente che si concentri l’attenzione sui limiti psichici che consciamente o inconsciamente impediscano più o meno l’autotrascendenza teocentrica. L’autore nell’introduzione afferma che la chiamata divina, considerata sempre un dono gratuito di Dio «non cade su un terreno neutro ma trova nella personalità dell’uomo due realtà antropologiche». Questo approccio che considera una duplice natura psichica nell’uomo lascia scoperta la questione del dualismo manicheo; quando seguiamo la «tendenza» buona della natura essa si autotrascende teocentricamente e viceversa quando è impedito dai limiti psichici insiti nella natura umana l’uomo non si autotrascende. La colpa della non autotrascendenza, che rende la persona incapace di internalizzare i valori, è da attribuirsi a dei limiti psichici insiti nella natura umana? Se così fosse inteso, e non è detto diversamente, ci troveremmo di fronte ad una originale riproposizione della tesi manichea[11]. Nella prassi pastorale e nel discernimento vocazionale, ne conseguirà che solo chi non ha limiti psichici può avere la vocazione sacerdotale, e c’è da chiederci quanti saranno e se ci saranno tali esseri umani capaci di corrispondere alla chiamata di Dio senza portarsi «la croce» dei propri limiti.

[1] L.M. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana: Basi interdisciplinari.

[2] L.M. Rulla, 15.

[3] L.M. Rulla, 16.

[4] L.M. Rulla, 6.

[5] L.M. Rulla, 21.

[6] L.M. Rulla, 41.

[7] L.M. Rulla, 43.

[8] Prende le distanze da: L’analisi transazionale di Eric Berne; Gli otto stadi dello sviluppo della persona umana di Erik H. Erikson; Il metodo non direttivo di C. Rogers.

[9] «Uno dei fatti più sconcertanti del nostro tempo è il riscontrare che le istituzioni educative di grado superiore e universitario, dirette da sacerdoti e religiosi, talvolta professino e insegnino una antropologia che rifiuta ogni relazione con le verità rivelate» (L.M. Rulla, 45).

[10] L.M. Rulla, 5.

[11] Evidentemente l’approccio dualistico manicheo non è esplicitato teoricamente, ma rimanendo espresso in un quadro nebuloso e non chiarito sufficientemente si presta facilmente a derive riscontrabili in prassi psico-vocazionali approssimative.

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