Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 1/5

Osservazioni ermeneutiche e approfondimenti sulla demonologia

Il disagio teologico e pastorale difronte al tema del «demonio/i» che la Sacra Scrittura abbondantemente affronta nel Nuovo Testamento, si concentra principalmente sulla «natura personale del male»; da un lato, pur non negandone l’esistenza, si rifiuta l’uso del concetto di persona per definire il contenuto delle espressioni bibliche che connotano il male (diavolo, demonio, Satana, il menzognero, il forte, l’avversario, ecc.); dall’altro lato la personificazione del Male assume una rilevanza tale da attribuirgli un potere[1] illimitato nella  vita dell’uomo, un potere tale capace di contrapporlo al Sommo Bene palesando un dualismo manicheo.

Chiarire la questione non è di secondaria importanza perché, come abbiamo affermato precedentemente, la differenza di contenuto incide sull’interpretazione e sul modo di comprendere e trasmettere la fede, nella capacità di discernere il vissuto, nel nostro caso il vissuto dell’esperienza spirituale e mistica.

Se per ora usare il concetto di persona non ci permette di superare l’opposta polarità interpretativa, riteniamo necessario verificare se gli angeli siano creature o se appartengono esclusivamente alla forma linguistica-letteraria della Scrittura e della trasmissione della Fede; ci pare questo un punto chiave che condiziona radicalmente l’interpretazione dell’azione del Maligno nella vita spirituale dell’uomo.

Per esplicitarne le conseguenze ermeneutiche sceglieremo un metodo di con-fronto interpretativo che vedrà da un lato la posizione comunemente riscontrabile nell’approccio teologico contemporaneo rappresentata sinteticamente dal contributo teologico di Walter Kasper[2] e dall’altro l’approfondimento critico della nostra riflessione. La dialettica in teologia è utile per chiarire i concetti ed evidenziare eventuali errori di interpretazione e di metodo. Ritengo che il lavoro del Kasper sia di grande importanza e che resterà nel tempo, avendo sintetizzato la categorie teologiche che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo e che hanno contribuito ad eliminare la demonologia nella formazione dei Seminari e nei corsi di Teologia, dalla Sacra Scrittura alla Morale, dalla Dogmatica alla Liturgia, dalla Spiritualità alla Pastorale. Leggi tutto “Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 1/5”

Scienza e magia nel contesto della post-modernità/2

La magia come fonte del sapere attraverso l’indagine scientifica fenomenologica

Il rito magico diventa fonte del sapere da cui trarre conoscenze scientifiche scoprendone i meccanismi che manipolano la natura. Per chi è scienziato, la magia non esiste in quanto non è più mistero, è stata portata alla luce. Questa posizione è criticabile per due motivi: il primo è che la realtà non è data dal pensiero dominante della cultura ma esiste in quanto tale o non esiste perché non c’è, non perché non penso che esista. In oltre, pur ammettendo l’esistenza e studiando i fenomeni demoniaci, non aderisce alla interpretazione che ne dà il cattolicesimo fin dai tempi dei padri della chiesa,  dimostrando di conoscerne bene il pensiero per prenderne le distanze:

 “la nascita del cristianesimo pose nel modo più netto la magia sotto il segno della polemica confessionale: pagani e cristiani si scambiarono l’accusa di “arti magiche”, cioè di operazioni eccezionali conseguite con l’aiuto dei demoni. [ …] il cristianesimo vittorioso in espansione svolse largamente il tema del salmista secondo cui “tutti gli déi pagani sono demoni” e praticamente si avvalse del termine “magia” per gettare discredito su quanto avanzava e resisteva della religione (pagana) sconfitta. È tuttavia da osservare che, in generale, i padri della chiesa impugnarono la magia di “falsità” non già nel senso che le arti magiche fossero senza alcuna efficacia e si riducessero a pretese illusioni di maghi e stregoni, ma nel senso che maghi e stregoni producevano i loro effetti reali continuando ad evocare quei demoni che Cristo aveva definitivamente posto sotto la sua signoria. L’esercizio delle arti magiche valeva quindi come non riconoscimento del messaggio di salvezza di Cristo, come scelta di cacciare Satana mediante Satana e non mediante Dio, […]. I padri della chiesa […] dettero un vigoroso accento al carattere perverso, egoistico, tenebroso delle arti magiche,  all’assenza di scrupoli morali che caratterizza la stregoneria e che matura in vere e proprie azioni delittuose, al suo tentativo di sovvertire l’ordine naturale e sociale istituito da Dio e dalla sua legittima chiesa. […]  ovviamente questa coscienza polemica antimagica della letteratura cristiana non ci offre nessun criterio interpretativo valido […]”[1].

Il professor Paolo Rossi, sua amico ed estimatore, difende il legame proficuo tra magia e scienza esaltandone il frutto di una riforma del sapere umano che chiama “magia rinnovata”: Leggi tutto “Scienza e magia nel contesto della post-modernità/2”

Scienza e magia nel contesto della post-modernità/1

Il contesto attuale della post-modernità tra il primato della scienza e la perdita della fede

La diminuzione della autentica religiosità sfocia o entra in simbiosi con la scienza ideologizzata e allo stesso tempo si apre al mondo dell’esoterismo fino alla  ricerca di culti magici arcaici. La natura umana è considerata buona così com’è e i culti magici delle antiche popolazioni (anche se richiedevano l’invocazione dei demoni e sacrifici umani di adulti e bambini) interpretati nel loro contesto, sono considerati eticamente buoni dagli etnologi e dai filosofi dell’antropologia odierna.  Negando il peccato originale come chiave ermeneutica, l’uomo risulta buono in sé e non come professa la fede cattolica creato buono e tuttavia lontano da quello che dovrebbe essere a causa del peccato originale e del male che compie liberamente. Interpretare la natura umana senza la fede cattolica con un approccio scientifico che si basa unicamente sul dato empirico senza darne un significato etico o religioso, o avendone uno soggettivo non conforme alla rivelazione cattolica, può avere solo due sbocchi consequenziali: la scienziato ateo che osserva il fenomeno rifiuta categoricamente qualunque altro elemento che dia significato all’insieme dei dati, postulando, con una atto di fede naturale, un modello scientifico aprioristico che verrà smentito o avallato dalla  tecnica praticata in laboratorio; lo scienziato aperto alla dimensione religiosa dell’uomo, ma non di fede cattolica,  si interesserà di tutti quei fenomeni paranormali , alchemici e magici che richiedono un approccio scientifico metodologicamente rigoroso per scoprirne i meccanismi naturali. Diciamo subito che qui si intende il mondo esoterico e magico come una costellazione di fenomeni non ancora spiegabili dalla scienza, non legati necessariamente all’invocazione dei demoni ma identificati in un concetto di “magia naturale” da cui sono partiti molti scienziati che hanno fatto la storia della scienza moderna.

Scienza e magia

Per capire questo fenomeno culturale della post-modernità occorre non solo indagare il rapporto tra la scienza e la religione, come siamo abituati a fare mettendoli in contrapposizione o in dialogo, ma è indispensabile indagare il rapporto tra la scienza e la magia. Leggi tutto “Scienza e magia nel contesto della post-modernità/1”

Psicologia del male e “spiritualità” del male

La psicologia del male

Il potere della situazione e la responsabilità degli atti

Per collocare gli atti  umani nel nostro quadro ermeneutico, distinguendo le dinamiche psichiche da quelle spirituali e quelle morali da entrambe, dobbiamo approfondire la psicologia di chi compie il male. Vi sono diverse correnti di pensiero che danno interpretazioni differenti sul perché l’uomo copia atti criminali nei confronti di persone innocenti. Sono stati studiati i comportamenti disumani di soggetti normali, psichicamente sani e socialmente inseriti, individuando dinamiche situazionali che condizionano l’agire umano. Ne riportiamo una sintesi premettendo che l’agire dell’uomo, se libero e senza gravi condizionamenti, porta con sé la responsabilità soggettiva di chi compie consapevolmente l’atto malvagio. Le dinamiche delle situazioni in cui si trova ad agire la persona sono da prendere in seria considerazione come meccanismi psicologici che favoriscono l’atto moralmente riprovevole e che servono da auto giustificazione in chi compie l’atto, ma non la sgravano dalla responsabilità penale e morale dell’azione.

La de-responsabilizzazione e diffusione della responsabilità Leggi tutto “Psicologia del male e “spiritualità” del male”

Unità del sapere: psicologia e scienze dello spirito devono lavorare insieme /2

Unità del sapere

Come abbiamo visto precedentemente le proposte di unificazione del sapere nella modernità avvengono attraverso autori citati e a partire dal Settecento fino alle grandi Enciclopedie; il Dizionario storico-critico (1702) di Bayle, l’Enciclopédie (1772) di Dederot e D’Alembert,  l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche (1817) di Heghel, fino alla contemporanea Encyclopaedia Britannica, e nella ambito del cattolicesimo l’opera monumentale di Antonio Rosmini, Teosofia (1855). È da notare che il luogo dell’elaborazione interdisciplinare e unificante del sapere nel medioevo, avviene proprio in un contesto universitario. Molti autori moderni in continuità con il mondo medioevale sostengono che il luogo privilegiato per il dialogo interdisciplinare dovrebbe essere il campus universitario: “compreso come un luogo di incontro non accidentale, un’area definita da un’architettura intellettuale, ancor prima che da un disegno logistico, urbanistico o funzionale”.[2] La visione globale del sapere permette l’approccio interdisciplinare e multiculturale nonostante richieda docenti e studenti capaci di un processo interiore e unificante  del sapere:

“è proprio caratteristica delle università, che per antonomasia universitas studiorum […] coltivare una conoscenza universale, nel senso che in essa ogni scienza deve essere coltivata in spirito di universalità, cioè con la consapevolezza che ognuna, seppure diversa, è così legata alle altre che non è possibile insegnarla al di fuori del contesto, almeno intenzionale, di tutte le altre. Chiudersi è condannarsi, prima o dopo, alla sterilità, è rischiare di scambiare per norma della verità totale un metodo per analizzare e cogliere una sezione particolare della realtà. Si esige quindi che l’università diventi un luogo di incontro e di confronto spirituale in umiltà e coraggio, dove uomini che amano la conoscenza imparino a rispettarsi, a consultarsi, a comunicare, in un intreccio di sapere aperto e complementare, al fine di portare lo studente verso l’unità del sapere, cioè verso la verità ricercata e tutelata la disopra di ogni manipolazione”[3]

L’università così intesa diventa il luogo dell’unità del sapere coniugando la scienza con la sapienza, il “come delle cose” e il “perché delle cose”. Leggi tutto “Unità del sapere: psicologia e scienze dello spirito devono lavorare insieme /2”

Unità del sapere nel contesto della frammentarietà post moderna /1

Unità del sapere

Vogliamo fondare le necessità del dialogo interdisciplinare per rispondere alla frammentazione e alla eccessiva specializzazione nel contesto scientifico attuale. Aprirsi al dialogo interdisciplinare è una risposta al declino della postmodernità dove l’uomo è il creato sono diventati strumenti della scienza al servizio di pochi per raggiungere il profitto a scapito dell’umanità e della natura. La relazione tra scienza e fede, tra le diverse discipline scientifiche empiriche e le discipline filosofiche, teologiche e sapienziali si fonda sulla integrazione fra la ragione naturale e la fede religiosa, fra ciò che so e ciò che credo. Il credente che è scienziato, medico, psicologo, ingegnere è cosciente che la sua professione, il suo lavoro non è necessariamente in contrasto con la fede religiosa anzi, dentro di sé ne sperimenta  una convergenza che spesso non riesce ad esprimere, a tematizzare, riservandola al privato. Certamente questo rapporto fede-scienza nel credente-scienziato implica la rinuncia alla separazione tra il conoscere ed il pensare ereditato dal modello idealista kantiano, riconoscendo che esiste la realtà in se stessa, conoscibile scientificamente e sperimentabile  anche attraverso la comprensione o ermeneutica proveniente da una esperienza di fede. Questa nostra gnoseologia distingue ciò che il mondo è da ciò che il mondo significa, una scoperta scientifica empirica dal significato che questo ha per me, per gli altri e che la responsabilità di tale conoscenza comporta. È chiaro che la diversificazione e la frammentazione dei saperi sorta con la modernità, come abbiamo visto precedentemente nella panoramica storica, rende difficile il dialogo tra scienza e fede in un contesto culturale incapace di trovare e dare senso alla ricerca scientifica. L’ideale dell’uomo sapiente proposto dall’antichità è stato sostituito dall’uomo esperto, la contemplazione della natura è stata sostituita dall’analisi delle sue parti per trasformarla e dominarla. Assumiamo la domanda del Teologo Pablo Sudar su “come rispondere a questa sfida antropologica della postmodernità?”[2]

“È urgente la riscoperta della interdisciplinarietà sia nella forma semplice di multidisciplinarietà che favorisce uno studio completo sull’oggetto indagato, sia nella sua forma più complessa che richiede l’acquisizione di principi e dati riconosciuti come unificanti in tutte le discipline scientifiche che si mettono a confronto.” (Tanzella-Nitti).

La complessità dell’approccio interdisciplinare è maggiore tanto più l’oggetto in esame è complesso come per esempio gli organismi viventi e tra questi l’uomo e la sua salute bio-psico-spirituale. Lo studio interdisciplinare dell’uomo e in particolare del suo momento critico di sofferenza e disagio con sé e con gli altri, per fattori sociali o spirituali, suggerisce un coordinato approccio mettendo in evidenza che l’indagine scientifica nel rapporto fra soggetto ed oggetto non può non tenere conto che il soggetto che indaga ha un ruolo fondamentale nell’interpretare i risultati della ricerca attraverso le sue consapevoli o inconsapevoli pre-comprensioni filosofiche che guidano la formulazione di molte teorie e che diventano catalizzatori di una comunità scientifica. Occorre tenere conto che l’indagine scientifica richiede una rivalutazione antropologico-esistenziale dell’attività scientifica stessa, che oggi è comunemente chiamato umanesimo scientifico o dimensione umanistica della scienza[3]. Escludere che lo scienziato sia un essere umano che interpreta comunque la realtà che indaga empiricamente è all’origine delle difficoltà e delle incertezze nel proporre una sintesi del sapere e anche di integrazione del sapere su basi interdisciplinari. Per ovviare a tale difficoltà, invece di mettersi personalmente in discussione, si preferisce e teorizza la visione restrittiva e particolareggiata della post-modernità che rinuncia e rifiuta visioni universali. Soprattutto in ambito antropologico il relativismo assoluto della post-modernità può essere frantumato dalla realtà stessa osservata nei suoi aspetti multiculturali, in altri termini, con un approccio interdisciplinare multiculturale che eviti la chiusura nel proprio orizzonte totalizzante e riconosca gli elementi caratteristici propri e gli elementi universali riscontrabili in tutte le culture.

Nel percorso storico del cristianesimo vi sono stati interessanti tentativi di unificare la concezione del reale. Leggi tutto “Unità del sapere nel contesto della frammentarietà post moderna /1”

Il metodo scientifico

Senza voler togliere nulla al valore del metodo scientifico nella sua indubbia capacità critica, utile e necessaria, riteniamo indispensabile distanziarci dall’esasperato scientismo. K.R.Popper nella Logica della scoperta scientifica scrive che il criterio della falsificabilità “è un criterio di demarcazione destinato a demarcare sistemi di asserzioni scientifiche da sistemi perfettamente significanti di asserzioni metafisiche […] le teorie scientifiche sono indispensabili ma non vanno intese come dogmi o articoli di fede, ma come principi relativi (falsificabili) a cui si ricorre per spiegare provvisoriamente la realtà”.

Si tratta dunque di collocare nella ricerca del sapere i modelli scientifici che sono necessari, ma non assoluti e dogmatici, come parte della scienza post-moderna vuole affermare quasi nevroticamente. Il valore del metodo scientifico e sperimentale moderno, che sfocia in una teoria scientifica, non va ricercato nella sua necessità metafisica ma nella sua capacità di spiegare meglio la realtà con una maggiore probabilità rispetto alle altre teorie. La teoria scientifica per sua natura non è assoluta ma probabile, ed insistere sul sapere meccanicistico e strutturale della realtà sfocia in una sorta di feticismo scientifico, espressione di D.von Hildebrand[1] che spiegheremo più avanti.  Il grande filosofo cattolico tedesco, sposato e migrato negli Stati Uniti a causa della persecuzione nazista afferma:

“L’applicazione della matematica all’interno del sapere è una grande novità del diciassettesimo secolo grazie alla convinzione che la mente umana è in grado di conoscere queste connessioni matematiche della natura, tuttavia il determinismo scientista e il positivismo non distingue il metodo filosofico dal metodo empirico presentandosi come l’unica filosofia del sapere, equivocando su come conosciamo, sulla gnoseologia rispetto a cosa conosciamo dei meccanismi che regolano la realtà”.[2] Leggi tutto “Il metodo scientifico”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3

Una maggior chiarezza della distanza interpretativa dei modelli antropologici rispetto ad un testo di mistica cattolica, per esempio della Serva di Dio Cecilia Maria Baij vissuta a Montefiascone nella prima metà del ‘700, potrebbe chiarire la posta in gioco. L’angolatura che prendiamo è il tema  dell’obbedienza; un esempio di come interpretare il bisogno di stima di sé e del valore dell’obbedienza nella vita psichica e spirituale. Occorre premettere che  l’approccio dello studio di Rulla è applicato sulle persone attraverso il colloquio vocazionale; è possibile tuttavia un approccio ermeneutico dell’epistolario cogliendo, nelle dinamiche testuali ripetitive, le tracce di una personalità che può in parte essere codificata e interpretata. Al termine di ogni lettera la Baij conclude sempre con espressioni di estrema sottomissione, anche per le piccole cose:

“Mi faccia la carità di mandarmi l’obbedienza; Resto sua umilissima, obbedientissima, serva e figlia nel Signore; mi pare che non dovrei dire queste cose ma le dico per obbedienza; soddisfo al mio obbligo di obbedienza; resto vostra affezionatissima obbedientissima serva e figlia; umilissima, obbedientissima e indegnissima serva e figlia nel Signore; torno a scrivere per obbedienza; con il merito però della santa obbedienza la quale ora gli domando; ma la santa obbedienza devo farla e perciò vostra reverenza saprà quello che dovrò fare”[1]

Anche attraverso numerose altre espressioni qui non riportate, la Baij sembra avere una bassa stima di sé, che la spinge a chiedere insistentemente obbedienze, professandosi al padre spirituale obbligatissima o obbedientissima serva e figlia nel Signore al termine di ogni lettera. Potremmo facilmente interpretare il bisogno inconscio di stima e di affetto celato sotto un atteggiamento d’obbedienza remissiva e assillante. Un bisogno profondo e radicale di essere sottomessa in tutto all’obbedienza per ricevere conferme, stima, affetto dal padre spirituale Gaetano Boncompagni. Un bisogno inconscio che minerebbe la capacità di vivere l’obbedienza in modo maturo e consapevole, una inconsistenza motivazionale tra il valore dell’obbedienza proclamato e il bisogno profondo di stima e affetto. Una prima osservazione su questo modo di interpretare la vita psichica che soggiace alla vita spirituale deriva dalla necessità evangelica di natura spirituale e non psichica, di obbedire al padre spirituale scelto nella fede per non essere ingannati da se stessi e dal demonio nel cercare e fare la volontà di Dio; questa motivazione spirituale a nostro avviso mette al riparo l’autenticità della vita spirituale da motivazioni inconsce e limiti psichici della natura umana. Una seconda osservazione; se fosse anche vero il bisogno profondo di stima e affetto, a tal punto da essere una penosa ferita psichica capace di rendere tortuosa la relazione con il padre spirituale, la Baij o chi per essa, con il sincero desiderio di mortificare se stessa attraverso il percorso virtuoso dell’obbedienza spirituale[2], offrirebbe al Mistico Sposo tutta se stessa, sentendosi e sapendosi amata dall’amore Misericordioso; è lo Spirito Santo che trascende, trasfigura la Sposa, dove essa non sarebbe capace di autotrascendersi teocentricamente a causa del suo limite psichico inconscio.

Quali conseguenze ha un’ermeneutica dell’esperienza mistica e spirituale con queste premesse antropologiche che riducono a «nous» ciò che è «pneuma»? Dal nostro punto di vista il marginalizzare l’azione e la presenza dello Spirito Santo nella vita spirituale dell’uomo (intesa come vita nello Spirito) riduce l’antropologia all’analisi delle sole facoltà dell’anima (intelletto, memoria, volontà) chiamando e interpretando ciò che è spirituale in ciò che è solamente di natura psichica, e viceversa ciò che è psichico è interpretato come di natura spirituale.

 c) L’atto di fede è un atto dell’intelletto? Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2

Una ulteriore riflessione la dobbiamo fare  sul contenuto semantico del termine “dimensione spirituale” che a causa dell’ambiguità con la “dimensione psichica” genera equivoci sul piano teorico ed errori sul piano pratico. 

b) La dimensione spirituale è la vita psichica?

La seconda questione è relativa alla dimensione spirituale dell’uomo che l’autore identifica con il terzo livello di vita psichica:

Il primo livello è quello degli appetiti fisiologici. […] nel secondo livello ci sono tendenze all’azione che non sono attivate da stati fisiologici, […] si tratta di un livello che ci permette di sviluppare una vita di relazioni, […] per  questo si può chiamare il livello psico-sociale. Infine c’è il livello di vita spirituale, razionale. Gli esseri umani posseggono la capacità, il potere di afferrare la natura delle cose estraendola dai dati dei nostri sensi. […] Questo potere astrattivo dell’uomo è chiamato intelligenza o ragione («spirito») che è qualcosa la quale – come opposta alla materia – ha dimensioni non misurabili, non ha parti, e non è nel tempo e nello spazio[1].

L’autore non intende ridurre l’esperienza religiosa solo ad un fatto psicologico senza fondamento oggettivo e rivelato[2], ma quando definisce la natura spirituale dell’uomo, se non la riduce, almeno la considera solo nella sua dimensione psichica che chiama di terzo livello, che è la natura intellettiva e razionale dell’uomo.

Ora, se la dimensione spirituale coincide con la natura razionale, Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /1

Osservazioni sull’auto-trascendenza teocentrica in L.M. Rulla[1]

Il tentativo di coniugare la dimensione psichica con quella spirituale è ben rappresentato nella psicologia del profondo. Il nostro sforzo si concentra nell’individuare gli aspetti positivi e critici di questo modello teorico, oggi piuttosto diffuso negli ambienti formativi cattolici.

Il contesto antropologico di questo studio di Rulla è quello della vocazione cristiana con lo scopo educativo d’aiutare la persona umana a conoscere ed a vivere meglio la sua vocazione:

“questo studio in fondo cerca dei principi di formazione vocazionale, che portino le persone ad una più completa formazione umana e cristiana. […] si propone tre domande: chi è la persona umana? Chi è l’humanum cristianum, cioè la persona umana in quanto è stata toccata dalla redenzione di Cristo e della sua Grazia? Chi è l’humanum cristianum nei momenti, nei passi più salienti del cammino della fede proprio della vocazione cristiana?”[2]

Accanto ad una antropologia teologica si ritiene necessaria una «antropologia naturale»[3] dove si cerchi di dimostrare la capacità di autotrascendenza e dell’autotrascendenza teocentrica, da una prospettiva interdisciplinare che coinvolga la filosofica, la teologica e le scienze psico-sociali[4]. L’approccio psico-sociale con un metodo induttivo-empirico[5] è volutamente esplicitato per «una visione più realistica dell’uomo» accogliendo elementi ermeneutici provenienti dalle varie scienze dell’uomo[6]. Non tenere conto della dimensione psicologica dell’uomo, e in particolare l’influenza dell’inconscio nella scelta vocazionale, è una «dimenticanza» che questo studio si propone di colmare. L’autore trae una conseguenza di contenuto affermando che «la teologia non è antropologia» e una conseguenza di metodo che necessita per logica il «tenere distinti gli elementi antropologici da quelli teologici»[7] pur affermandone la loro complementarietà.

Tra gli altri, il pregio di questo studio è quello di individuare i principi per una antropologia cristiana che sappia confrontarsi, su basi interdisciplinari, con le scienze e le filosofie moderne ponendosi in dialogo critico[8]. Uno studio che con chiarezza prende le distanze da diversi modelli inconciliabili con l’antropologia cristiana e denuncia un processo di assimilazione di questi modelli, nei luoghi formativi per le vocazioni sacerdotali[9].

Poniamo tre questioni che interessano l’approccio ermeneutico all’esperienza mistica per evidenziare la diversa conclusione interpretativa generata da un discernimento con modelli antropologici differenti. Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /1”