Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 2/5

2kasper/ Dimensioni filosofiche del problema del male.

Il Kasper afferma che «il primo approccio al problema del male […] passa attraverso l’esperienza. […] una realtà dell’esperienza umana». Evidentemente il problema del male è affrontato non solo dalla Bibbia e dalla Tradizione ecclesiastica, ma anche dalla letteratura, dalla filosofia, «e le moderne scienze umane (psicologia del profondo, sociologia, ricerche sul comportamento e soprattutto la parapsicologia)». Il problema che si pone è se l’enunciato sul diavolo costituisca una categoria interpretativa  dell’esperienza del male vincolante o come suggerisce l’autore se sia  «almeno utilizzabile».

Le scienze moderne ritengono di essere sostanzialmente in grado d’inquadrare, nell’ambito delle loro teorie ed ipotesi chiarificatrici, tutti i fenomeni connessi con il diavolo […] i filosofi cui abbiamo accennato (E. Bloch, L. Koladowski, P. Ricoeur) giungono a delle interpretazioni secondo le quali il diavolo sarebbe una specie di simbolo atto a significare una determinata struttura dell’essere o della libertà umana.

Presupposto che scienze moderne spiegano la fenomenologia e i filosofi ne danno una interpretazione simbolico-semantica generata dalla struttura dell’essere, il Kasper indica la riflessione sulla libertà come punto di partenza per superare il conflitto tra esperienza del male psico-fisico e il male morale che esiste solo dove c’è la libertà e quindi la responsabilità: «Il nostro modo di procedere sarà dunque quello di prendere innanzitutto  come punto di partenza  la dimensione fondamentale della libertà […] per far vedere […] in che modo […] si debba superare la dimensione morale per comprendere adeguatamente il fenomeno del male».

Tra i pensieri filosofici citati, dopo un breve accenno sull’inclinazione ontologica dell’uomo al male morale nel pensiero kantiano, l’autore riporta le conclusioni di P. Ricoeur[1] sulla questione posta:

è possibile  parlare della realtà del  male soltanto nel modo della confessione. Ma nella confessione l’uomo parla di una colpa che egli ha già commesso. Qui si trova già colpevole. Si confessa nella duplice accezione del termine come colpito dal male. Ciò conduce Ricoeur al concetto paradossale della volontà asservita. E ciò che si intende lo ritroviamo espresso nei miti della macchia, caduta di Satana, ecc. E sempre ci troviamo di fronte al riconoscimento che l’uomo trova già il male in sé e nel mondo… così all’orizzonte dell’atto malvagio si profila la figura del tentatore. Ma per Ricoeur questa rimane una struttura del peccato dell’uomo. La si può identificare soltanto nei limiti dell’esperienza dell’essere tentati […], la qualità ontologica di questa figura del tentatore rimane dunque oscura. E tuttavia, una volta accertata la preesistenza del male siamo anche giunti ai limiti della dimensione morale.

Successivamente l’autore identifica la preesistenza del male con il concetto del peccato originale spiegato con categorie socio-ontologiche piuttosto che con categorie biologiche-ereditarie. Citando P. Teilhard de Chardin si cerca ancora una risposta su che tipo di realtà sia il male:

è stato uno dei primi teologi cattolici a riflettere seriamente sull’immagine evolutiva del mondo che ci si delinea nell’età contemporanea. […] È nota nelle sue linee generali anche la risposta che ci ha dato: in un mondo evolutivo, che va avanti soltanto a tentoni e conoscendo diversi insuccessi, il male è una necessità statistica.

Per Teilhard l’inizio è costituito da un niente che dovremmo intendere come varietà indeterminata, che unificandosi progressivamente rende possibile il realizzarsi della creazione. Come si è spesso osservato, ciò rappresenta un soluzione estremamente problematica. Lo stesso  Teilhard osserva che tale risposta puzza di manicheismo. L’autore ritorna al problema metafisico dell’essere, ci troviamo al punto di partenza dove ci si domanda se l’essere finito in sé è buono o se è scisso generando una inclinazione al male senza colpa dell’individuo libero e responsabile. La questione, secondo il percorso del contributo teologico dell’autore, va posta su un «quadro generale più grande» e ciò significa «intravedere la dimensione teologica»: «È necessario dunque superare in prospettiva teologica la dimensione della libertà umana verso una dimensione ancora più ampia, verso cioè la dimensione della libertà di Dio».

2critica/ Essere creatura buona pervertitasi per libera scelta.

Nella premessa alla questione filosofica il Kasper ribadisce l’assioma ermeneutico che ritiene spiegabile il problema del male con l’approccio delle scienze moderne, quali la psicologia del profondo, la sociologia e la parapsicologia che sono di supporto a correnti filosofiche che identificano il diavolo con il simbolo del male nell’uomo, potenziale distruttivo e caotico pronto a passare all’atto attraverso l’adesione libera dell’uomo.

Si evidenzia il rinnovato tentativo di lasciare alla scienze positive il compito di indicare i criteri ermeneutici per la comprensione dell’esperienza del male nella vita dell’uomo. Un orizzontalismo antropologico che non supererà l’aporia manichea e che riproporrà il sapore di antiche correnti gnostiche con postulati fantasiosi di archetipi originari che trovano simpatie con la parapsicologia, una pseudo scienza esoterica senza alcun fondamento scientifico. In questa «nube della non conoscenza psichica» delle dinamiche psicologiche dell’evolversi del male nell’uomo, che misconosce la ricchezza e la finezza delle interpretazioni che ne danno gli antichi Padri della Chiesa, si innesta il sapere filosofico che farà da supporto ad una teologia sul male che dichiara di prendere nettamente le distanze dalla teologia tradizionale.

La questione filosofica sul male è giustamente posta sulla dimensione fondamentale della libertà: non vi è male senza adesione libera della creatura.

La nostra  ermeneutica critica considera il male una conseguenza dell’atto volontario della creatura umana e angelica. Non vi è l’intento di considerare il diavolo causa del male morale che l’uomo compie di sua volontà. La questione è semplice anche se a chi non prende in considerazione l’esistenza creaturale degli angeli appare semplicistica: ogni creatura creata buona ha la responsabilità del male che compie esercitando la sua libertà di scelta. Per l’uomo l’esercizio della libertà si realizza nel tempo e nello spazio, essendo persona di natura duale anima-corpo; per le creature angeliche l’esercizio della libertà è stata esercitata all’atto della creazione senza condizionamento del tempo e dello spazio, essendo creature di natura spirituale. Postulare l’esistenza del male rilevabile soltanto nella confessione delle colpe, come ci fa intravedere l’autore esponendo il pensiero di Ricoeur, prelude ad una soluzione filosofica di matrice manichea. Con l’accenno al pensiero di Teilhard de Chardin, che reinterpreta il concetto di peccato originale, è ancora più esplicito il riferimento al modello dualista del Bene e del Male preesistente nell’uomo. Anche il Kasper osserva che questa teoria, seppur accattivante, rappresenta una soluzione estremamente problematica e fa notare che lo stesso Teilhard riconosce che  «puzza di manicheismo».

Dal punto di vista filosofico il problema non è risolto e si torna al punto di partenza: se l’origine del male come conseguenza di un atto libero creaturale esiste fuori dall’uomo o se è dentro l’uomo.



[1] P. Ricoeur, La symbolique du mal.

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