Il COVID-19 è un castigo divino?

Assolutamente no – certamente si

Prima di rispondere bisogna capire cosa la Sacra Scrittura intende per castigo divino. Nell’Antico Testamento la rivelazione di Dio è autentica ma incompleta. Dopo la creazione e il rifiuto dell’uomo di obbedire a Dio espresso nel peccato originale, l’uomo è costretto a vivere in una condizione extra-paradisiaca, per riparare alla propria colpa.
“Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita. “ (Gn 3,23-24)
Dopo il peggioramento della condizione morale dell’uomo Dio manda una “castigo”, il diluvio che quasi azzera l’esistenza degli uomini sulla terra abitata.
“Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici, cioè quanto era sulla terra asciutta morì. Così fu sterminato ogni essere che era sulla terra: con gli uomini, gli animali domestici, i rettili e gli uccelli del cielo; essi furono sterminati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell’arca. Le acque restarono alte sopra la terra centocinquanta giorni” (Gn 7,21-24) Leggi tutto “Il COVID-19 è un castigo divino?”

La teologia dei mistici /1

Quali categorie teologiche per accedere correttamente alla “mistica”

Precisiamo cosa si debba intendere per teologia mistica citando un autore oggi poco considerato ma molto interessante:

“Chiamiamo teologi mistici quelli che hanno provato esperienze divine e hanno misteriosamente gustato Dio. Di questa sceltissima schiera, gran parte è ascritta nel catalogo dei santi […] Si può parlare di una triplice teologia: la prima, che tratta delle definizioni di fede, ricondotta a metodo con non poche fatiche, basata su testi sacri, sui Concili e sui Padri, armata di argomentazioni […] La seconda è detta positiva, ossia quasi espositiva. Con gli insegnamenti dei Padri, la conoscenza delle lingue, l’approfondito esame dei testi […] in termini propri, oppure simbolica, quando applica a Dio denominazioni o metafore, cogliendole dalle creature. La terza, che non discute come la scolastica né concepisce le divine rivelazioni con termini presi in senso proprio o traslato come la positiva, ma tralasciati ragionamenti e nomi, con l’intelletto stupito oltre qualsiasi immagine creata e con la volontà sollevata più in alto, gusta e abbraccia Dio. Il magistero di questa teologia appartiene solo a Cristo, che istruì Paolo” (Giovanni di Gesù Maria Calagorritano, La teologia mistica, 8-9).

Nei prossimi articoli evidenzieremo che il Calagorritano è sulla stessa linea interpretativa dei dottori mistici carmelitani e delle opere di San Dionigi Areopagita[1], discepolo dell’apostolo Paolo Dottore Mistico per eccellenza: la teologia mistica è l’esperienza spirituale di gustare, per gradi di partecipazione, l’unione con Dio. La via principale non è quella dell’intelletto che si applica sull’oggetto contemplato, ma l’unione della propria volontà con la volontà di Dio. L’intelletto è accecato dalla tenebra luminosissima della presenza di Dio che è amore, che scalda con un fuoco invisibile la notte oscura dell’anima. Voler amare l’amore è voler ciò che Egli vuole sopra ogni comprensione intellettiva.

 “I teologi mistici espongono molti concetti in modo troppo semplice ed in maniera troppo poco esplicita e distinta per poter essere intesi da un lettore poco attento. […] Scambiano l’atto della volontà con quello dell’intelletto, come quando alla percezione, al gusto, all’esperienza di Dio, tutti termini che si riferiscono alla volontà, attribuiscono i termini di visione, notizia o conoscenza, come si fa per i sensi esterni. […] Tre sono le cose difficili in  questa teologia. La prima, se possa accadere che Dio sia dall’uomo più amato che conosciuto; la seconda se, senza alcun atto dell’intelletto, la volontà possa percepire Dio; la terza se possa avvenire che l’intelletto e la volontà, subiscano divini interventi senza produrre atti propri” (Giovanni di Gesù Maria Calagorritano, La teologia mistica, 10-11). Leggi tutto “La teologia dei mistici /1”

Storicità e Spiritualità

Se l’uomo “psichico” non intende le “cose” spirituali” come possiamo conoscere le spiritualità chiudendola e interpretandola unicamente nel suo contesto vitale? Nel loro contesto storico? Come possiamo affermare che vi sia una spiritualità del ‘700 o dell’800? È un dato acquisito che per comprendere una spiritualità sia indispensabile studiarne il “Sitz im Leben”, il contesto vitale dove si è sviluppata l’esperienza spirituale. Questa categoria ermeneutica del contesto vitale presa in prestito dai biblisti e comunemente applicata ai testi di spiritualità presenta limiti evidenti. Un santo del ‘700 ha lasciato scritto la sua esperienza spirituale: Si studiano le fonti da cui ha attinto l’autore del testo di spiritualità, il contesto sociale in cui è vissuto, le sue sfumature psicologiche, l’influsso del contesto ecclesiale dell’epoca, i destinatari, ecc. Da tutto questo “umus” storico e geografico siamo in grado di comprendere la spiritualità del soggetto in esame? Possiamo far entrare nella categoria del “Sitz im Leben” del ‘700 tutti coloro che hanno vissuto una esperienza intima di comunione con lo Spirito Santo?

«Se ci si tiene fermi all’idea del carattere chiuso e unitario delle epoche storiche […] si soggiace ad una interpretazione dilettantesca del Kairos, la preoccupazione di raggiungere l’uomo del nostro tempo impedirà di raggiungere l’uomo di ogni tempo». (D. von Hildebrand, Il cavallo di Troia nella città di Dio, 178)

«Perciò un effettivo progresso nella via individuale implica la perseveranza e la continuità, la fedeltà ai valori immutabili. […] Il progredire nel senso di una sempre più fedele imitazione di Cristo, di un lasciarsi trasformare sempre più da Cristo, implica univocamente una fede profonda e incrollabile in Lui. […] Il vero progresso si riferisce dunque ad un mutamento positivo della misura in cui si vive conformemente al vero fine della propria vita. » (D. von Hildebrand, Il cavallo di Troia nella città di Dio, 135-136)

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