Sofferenza amorosa psichicamente sana

Tutti vogliono essere liberati dal male, sia fisico che psichico, il dolore che percepiamo nel nostro corpo ma anche, per empatia, il dolore degli altri che amiamo o pensiamo di amare. Nessuno vuole stare male “dentro”, tutti vogliamo essere sereni e la serenità delle persone a cui vogliamo bene incide sul nostro stato d’animo. Lo stato delle cose sembra suggerirci che la Bontà di Dio stia dalla nostra parte e il suo Amore ci verrà incontro per non farci soffrire nel corpo e nella psiche e di conseguenza non farà soffrire o morire le persone che amiamo. La croce e la sofferenza sarebbe una disgrazia esistenziale e sarebbe da bandire dalla terra. A questo punto, dovendo negare il valore salvifico della Croce di Gesù e della nostra croce unita alla sua e ci troveremmo in accordo con l’Accusatore di Dio, il padre della Menzogna, l’omicida fin da principio. Dio Padre sarebbe stato crudele nel permettere la morte in croce del Figlio unigenito. La sofferenza degli uomini, e soprattutto la nostra sofferenza personale, sarebbe una crudeltà divina. Per gli “amici” del diavolo sarebbe Dio l’origine del male… se Dio fosse stato buono sarebbe intervenuto per salvare il Figlio dalla Croce e soprattutto toglierebbe la sofferenza dalla vita terrena. Dunque il “dio buono”, secondo costoro, dovrebbe preoccuparsi di togliere la sofferenza e la croce dal mondo affichè tutti possano godersi la vita in “santa pace”. Il falso dio di costoro dovrebbe essere così “buono” togliere anche di mezzo anche tutti coloro che ci rendono infelici e che volontariamente o involontariamete ci fanno soffrire. Questo modo di pensare è “anticristico” per diversi motivi. In primo luogo Leggi tutto “Sofferenza amorosa psichicamente sana”

Psicologia del male e “spiritualità” del male

La psicologia del male

Il potere della situazione e la responsabilità degli atti

Per collocare gli atti  umani nel nostro quadro ermeneutico, distinguendo le dinamiche psichiche da quelle spirituali e quelle morali da entrambe, dobbiamo approfondire la psicologia di chi compie il male. Vi sono diverse correnti di pensiero che danno interpretazioni differenti sul perché l’uomo copia atti criminali nei confronti di persone innocenti. Sono stati studiati i comportamenti disumani di soggetti normali, psichicamente sani e socialmente inseriti, individuando dinamiche situazionali che condizionano l’agire umano. Ne riportiamo una sintesi premettendo che l’agire dell’uomo, se libero e senza gravi condizionamenti, porta con sé la responsabilità soggettiva di chi compie consapevolmente l’atto malvagio. Le dinamiche delle situazioni in cui si trova ad agire la persona sono da prendere in seria considerazione come meccanismi psicologici che favoriscono l’atto moralmente riprovevole e che servono da auto giustificazione in chi compie l’atto, ma non la sgravano dalla responsabilità penale e morale dell’azione.

La de-responsabilizzazione e diffusione della responsabilità Leggi tutto “Psicologia del male e “spiritualità” del male”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3

Una maggior chiarezza della distanza interpretativa dei modelli antropologici rispetto ad un testo di mistica cattolica, per esempio della Serva di Dio Cecilia Maria Baij vissuta a Montefiascone nella prima metà del ‘700, potrebbe chiarire la posta in gioco. L’angolatura che prendiamo è il tema  dell’obbedienza; un esempio di come interpretare il bisogno di stima di sé e del valore dell’obbedienza nella vita psichica e spirituale. Occorre premettere che  l’approccio dello studio di Rulla è applicato sulle persone attraverso il colloquio vocazionale; è possibile tuttavia un approccio ermeneutico dell’epistolario cogliendo, nelle dinamiche testuali ripetitive, le tracce di una personalità che può in parte essere codificata e interpretata. Al termine di ogni lettera la Baij conclude sempre con espressioni di estrema sottomissione, anche per le piccole cose:

“Mi faccia la carità di mandarmi l’obbedienza; Resto sua umilissima, obbedientissima, serva e figlia nel Signore; mi pare che non dovrei dire queste cose ma le dico per obbedienza; soddisfo al mio obbligo di obbedienza; resto vostra affezionatissima obbedientissima serva e figlia; umilissima, obbedientissima e indegnissima serva e figlia nel Signore; torno a scrivere per obbedienza; con il merito però della santa obbedienza la quale ora gli domando; ma la santa obbedienza devo farla e perciò vostra reverenza saprà quello che dovrò fare”[1]

Anche attraverso numerose altre espressioni qui non riportate, la Baij sembra avere una bassa stima di sé, che la spinge a chiedere insistentemente obbedienze, professandosi al padre spirituale obbligatissima o obbedientissima serva e figlia nel Signore al termine di ogni lettera. Potremmo facilmente interpretare il bisogno inconscio di stima e di affetto celato sotto un atteggiamento d’obbedienza remissiva e assillante. Un bisogno profondo e radicale di essere sottomessa in tutto all’obbedienza per ricevere conferme, stima, affetto dal padre spirituale Gaetano Boncompagni. Un bisogno inconscio che minerebbe la capacità di vivere l’obbedienza in modo maturo e consapevole, una inconsistenza motivazionale tra il valore dell’obbedienza proclamato e il bisogno profondo di stima e affetto. Una prima osservazione su questo modo di interpretare la vita psichica che soggiace alla vita spirituale deriva dalla necessità evangelica di natura spirituale e non psichica, di obbedire al padre spirituale scelto nella fede per non essere ingannati da se stessi e dal demonio nel cercare e fare la volontà di Dio; questa motivazione spirituale a nostro avviso mette al riparo l’autenticità della vita spirituale da motivazioni inconsce e limiti psichici della natura umana. Una seconda osservazione; se fosse anche vero il bisogno profondo di stima e affetto, a tal punto da essere una penosa ferita psichica capace di rendere tortuosa la relazione con il padre spirituale, la Baij o chi per essa, con il sincero desiderio di mortificare se stessa attraverso il percorso virtuoso dell’obbedienza spirituale[2], offrirebbe al Mistico Sposo tutta se stessa, sentendosi e sapendosi amata dall’amore Misericordioso; è lo Spirito Santo che trascende, trasfigura la Sposa, dove essa non sarebbe capace di autotrascendersi teocentricamente a causa del suo limite psichico inconscio.

Quali conseguenze ha un’ermeneutica dell’esperienza mistica e spirituale con queste premesse antropologiche che riducono a «nous» ciò che è «pneuma»? Dal nostro punto di vista il marginalizzare l’azione e la presenza dello Spirito Santo nella vita spirituale dell’uomo (intesa come vita nello Spirito) riduce l’antropologia all’analisi delle sole facoltà dell’anima (intelletto, memoria, volontà) chiamando e interpretando ciò che è spirituale in ciò che è solamente di natura psichica, e viceversa ciò che è psichico è interpretato come di natura spirituale.

 c) L’atto di fede è un atto dell’intelletto? Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2

Una ulteriore riflessione la dobbiamo fare  sul contenuto semantico del termine “dimensione spirituale” che a causa dell’ambiguità con la “dimensione psichica” genera equivoci sul piano teorico ed errori sul piano pratico. 

b) La dimensione spirituale è la vita psichica?

La seconda questione è relativa alla dimensione spirituale dell’uomo che l’autore identifica con il terzo livello di vita psichica:

Il primo livello è quello degli appetiti fisiologici. […] nel secondo livello ci sono tendenze all’azione che non sono attivate da stati fisiologici, […] si tratta di un livello che ci permette di sviluppare una vita di relazioni, […] per  questo si può chiamare il livello psico-sociale. Infine c’è il livello di vita spirituale, razionale. Gli esseri umani posseggono la capacità, il potere di afferrare la natura delle cose estraendola dai dati dei nostri sensi. […] Questo potere astrattivo dell’uomo è chiamato intelligenza o ragione («spirito») che è qualcosa la quale – come opposta alla materia – ha dimensioni non misurabili, non ha parti, e non è nel tempo e nello spazio[1].

L’autore non intende ridurre l’esperienza religiosa solo ad un fatto psicologico senza fondamento oggettivo e rivelato[2], ma quando definisce la natura spirituale dell’uomo, se non la riduce, almeno la considera solo nella sua dimensione psichica che chiama di terzo livello, che è la natura intellettiva e razionale dell’uomo.

Ora, se la dimensione spirituale coincide con la natura razionale, Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /2”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /1

Osservazioni sull’auto-trascendenza teocentrica in L.M. Rulla[1]

Il tentativo di coniugare la dimensione psichica con quella spirituale è ben rappresentato nella psicologia del profondo. Il nostro sforzo si concentra nell’individuare gli aspetti positivi e critici di questo modello teorico, oggi piuttosto diffuso negli ambienti formativi cattolici.

Il contesto antropologico di questo studio di Rulla è quello della vocazione cristiana con lo scopo educativo d’aiutare la persona umana a conoscere ed a vivere meglio la sua vocazione:

“questo studio in fondo cerca dei principi di formazione vocazionale, che portino le persone ad una più completa formazione umana e cristiana. […] si propone tre domande: chi è la persona umana? Chi è l’humanum cristianum, cioè la persona umana in quanto è stata toccata dalla redenzione di Cristo e della sua Grazia? Chi è l’humanum cristianum nei momenti, nei passi più salienti del cammino della fede proprio della vocazione cristiana?”[2]

Accanto ad una antropologia teologica si ritiene necessaria una «antropologia naturale»[3] dove si cerchi di dimostrare la capacità di autotrascendenza e dell’autotrascendenza teocentrica, da una prospettiva interdisciplinare che coinvolga la filosofica, la teologica e le scienze psico-sociali[4]. L’approccio psico-sociale con un metodo induttivo-empirico[5] è volutamente esplicitato per «una visione più realistica dell’uomo» accogliendo elementi ermeneutici provenienti dalle varie scienze dell’uomo[6]. Non tenere conto della dimensione psicologica dell’uomo, e in particolare l’influenza dell’inconscio nella scelta vocazionale, è una «dimenticanza» che questo studio si propone di colmare. L’autore trae una conseguenza di contenuto affermando che «la teologia non è antropologia» e una conseguenza di metodo che necessita per logica il «tenere distinti gli elementi antropologici da quelli teologici»[7] pur affermandone la loro complementarietà.

Tra gli altri, il pregio di questo studio è quello di individuare i principi per una antropologia cristiana che sappia confrontarsi, su basi interdisciplinari, con le scienze e le filosofie moderne ponendosi in dialogo critico[8]. Uno studio che con chiarezza prende le distanze da diversi modelli inconciliabili con l’antropologia cristiana e denuncia un processo di assimilazione di questi modelli, nei luoghi formativi per le vocazioni sacerdotali[9].

Poniamo tre questioni che interessano l’approccio ermeneutico all’esperienza mistica per evidenziare la diversa conclusione interpretativa generata da un discernimento con modelli antropologici differenti. Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica /1”

Il primato dello spirito nella matrice filosofica del personalismo: filosofia e mistica

Quale primato dello spirito nel personalismo di E.Mounier?

Il Mounier[1] vive in un contesto filosofico-culturale gravato da un allargato influsso dell’ideologia marxista da un lato e dall’altro dall’evolversi delle diverse correnti esistenzialiste come reazione all’idealismo tedesco. Nel suo vitale percorso filosofico cerca di coniugare l’esigenza concreta di considerare l’uomo nella sua dimensione materiale, dimensione questa, stuzzicata dal dialogo con le provocazioni del materialismo marxista, con la dimensione «mistica» della vita umana, nel suo generarsi soggettivo, qui e ora, nell’intimo e nel personale. Nell’orizzonte filosofico della contrapposizione tra l’idealismo soggettivista e l’ontologia oggettiva, il Mounier scorre nel suo affluente verso il grande fiume dell’esistenzialismo[2] che cerca di giungere al «mare della Sapienza» separandosi da posizioni percepite come stagnanti. Per conoscere il pensiero e il movimento personalista di Mounier bisogna introdursi nella lettura della sua raccolta dei primi articoli della rivista Esprit da lui fondata e guidata; articoli contenuti sotto il titolo «Révolution personnaliste et communautaire» del 1935. Per il fondatore dell’Esprit che cos’è il personalismo?

“Il personalismo può sembrar inafferrabile a chi vi cerca un sistema, mentre è prospettiva, metodo, esigenza. Come prospettiva, all’idealismo e al materialismo astratti contrappone un realismo spirituale, sforzo continuo per ritrovare l’unità che queste due prospettive scindono […] Come metodo, il personalismo respinge a un tempo il metodo deduttivo dei dogmatici e l’empirismo bruto dei «realisti» […] Come esigenza, infine, il personalismo è l’esigenza di impegno totale e incondizionato[3].”

Secondo M. Montani[4] la migliore definizione del personalismo mounieriano la dà P. Ricoeur nell’articolo «Une philosophie personnaliste» apparso nella rivista Esprit[5]:

“La sua grande forza sta nell’aver saldato, nel 1932, nel suo momento germinale, il proprio modo di filosofare alla presa di coscienza di una crisi di civiltà [… ponendo] all’origine una pedagogia della vita comunitaria legata ad un risveglio della persona. […] Il suo grande contributo al pensiero contemporaneo è stato, mettendosi al di sopra di una problematica filosofica in senso stretto, al di sopra delle questioni riguardanti il punto di partenza, il metodo e l’origine, di offrire ai filosofi una matrice filosofica, di proporre loro delle tonalità, delle prospettive teoriche e pratiche capaci di una o parecchie filosofie, gravide di una o parecchie sistemazioni filosofiche[6].”

Il primato dello spirito nella matrice filosofica del personalismo:  filosofia e mistica Leggi tutto “Il primato dello spirito nella matrice filosofica del personalismo: filosofia e mistica”

Rilievi critici e considerazioni su alcuni modelli antropologici

Introduzione ai prossimi articoli

La lettura e l’interpretazione dei testi di spiritualità e/o di mistica attraverso una «vedetta antropologica» comporta una lettura con propri criteri euristici che inevitabilmente esprimono giudizi sull’esperienza spirituale, arrivando a considerazioni molto differenti e forse contrastanti. Da un lato vorrei tentare in qualche modo di prendere criticamente le distanze da alcuni di questi modelli antropologici e dall’altro lato esplicitare l’assunzione di un modello antropologico fondato sulla Sacra Scrittura, sui Padri della Chiesa, sui Dottori mistici che si agganci anche ad un autore contemporaneo facilitando al lettore alla comprensione critica della nostra «vedetta antropologica». In questa prima parte seguiranno alcuni interventi nell’area dell’antropologia teologica: la categoria teologica del soggetto incarnato in M. Flick e Z. Alszeghy; nell’area dell’antropologia filosofica il primato dello spirito nel personalismo comunitario in E. Mounier; nell’area delle scienze psico-sociali gli studi antropologici su basi interdisciplinari della psicologia del profondo in L.M. Rulla.

Il soggetto incarnato in  M. Flick e Z. Alszeghy[1]

Condividiamo il punto di partenza dei due teologi, considerando l’uomo immagine di Dio in quanto è persona «dotata di una speciale immanenza e trascendenza […] ha una speciale dignità superiore a tutto il mondo materiale eppure l’uomo appartiene al mondo materiale»[2]. Si tratta di individuare la categoria teologica che espliciti la struttura di questa diversità nell’unità: come spiegheremo più avanti, noi preferiamo parlare di «creatura duale abitata dallo Spirito» mentre gli illustri teologi preferiscono la categoria del «soggetto incarnato».

a) Un diverso approccio fondativo desunto dalla Sacra Scrittura

 Riguardo alla struttura dell’uomo nella Sacra Scrittura, descritta nei termini di soma, psiché e pneuma, si argomenta per dimostrare che:

“la semantica di queste parole mostra varie fasi del passaggio dall’uso metaforico verso la concettualizzazione; il significato è perciò oscillante nei vari libri, anzi nei vari contesti della medesima opera. La speculazione teologica non può dunque appoggiarsi su questi termini, come se essi costituissero asserti chiari e distinti sulla struttura dell’uomo” [3].

Diversamente da questa considerazione semantica comunemente citata, il nostro approccio teologico, senza la pretesa di trovare sempre asserti chiari e distinti nell’uso dei termini, del loro significato semantico e di contenuto descrittivo, ritiene che sia possibile fondare biblicamente la categoria teologico-antropologica dell’uomo considerato «creatura duale abitata dallo Spirito». Il fatto che nella Bibbia si racconti l’esperienza umana senza una dichiarazione definitoria sull’uomo, conduce gli autori ad affermare: Leggi tutto “Rilievi critici e considerazioni su alcuni modelli antropologici”

Spirito e psiche /2

Unità duale del composto umano

Non perdersi nel mare di parole dette e scritte per definire o descrivere l’essere umano è la premessa per cercare di conoscere e delineare la complessità della creatura umana. Non si tratta di cercare un modello teorico che sia nuovo o che sia maggiormente accettato da tutti, né si tratta di appagare l’intelletto su ciò che resta mistero mai conosciuto appieno e mai compreso dall’uomo stesso. L’umiltà di riconoscere che non siamo i primi ad indagare la natura umana, fa rivolgere il nostro sguardo alla sapienza sull’uomo scritta nei testi dei Padri della Chiesa, dei Santi e dei mistici Dottori della Chiesa. La questione antropologica, nella sua vasta panoramica, veniva svelata attraverso l’esperienza della vita di fede e secondariamente tematizzata nel processo di inculturazione con il mondo pagano e la filosofia dei greci. Senza eccessive semplificazioni, i Padri e i Dottori della Chiesa, da sant’Agostino a san Tommaso d’Aquino, da sant’Evagrio Pontico a san Giovanni della Croce, con linguaggi e in contesti differenti, hanno avuto convergenze recepite ancora oggi dal Magistero della Chiesa e da quella che possiamo chiamare i principi dell’antropologia cristiana. In primo luogo, l’esistenza dell’anima e questa unita al corpo è sempre stata affermata; secondariamente si dichiara acquisito il primato dell’anima sul corpo in attesa della risurrezione, utilizzando categorie prese in prestito dalla filosofia greca per affermare l’unità anima-corpo (sinolo: sintesi di materia e forma), fino all’attuale visione olistica dell’uomo in uso nelle psicologie; l’esistenza dell’anima e l’unione con il corpo è un punto fermo dell’antropologia cristiana che solo nell’età moderna è stato messo in discussione con l’affermazione del biologico sullo psichico e delle emozioni e pulsioni sulla dimensione più propriamente spirituale. Una questione di fondo è Leggi tutto “Spirito e psiche /2”

Discernere spirito da psiche

Una questione non marginale è quella chiarire la distinzione della dimensione spirituale dalla dimensione psichica dell’uomo. Partiamo dalla Parola di Dio che attualizza e realizza il tema proposto:

Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.” (Eb 4,12-13)

Sembrerebbe che la dimensione profonda dello spirito vada oltre le facoltà dell’anima, per usare una categoria tomista classica. Nessuna creatura può nascondersi dalla potenza viva e vivificante della parola di Dio che “penetra fino al punto di divisione” della psiche dallo spirito. La Parola va al di là della categoria psicologica di conscio e inconscio; siamo nudi ai suoi occhi o dobbiamo renderne conto nello spirito, nella risposta che diamo alla Parola nei “pensieri del cuore”, nel “midollo” spirituale di noi stessi.

Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.” (1Cor2,10-15)

In cosa consiste la dimensione spirituale dell’uomo? Non è certamente ciò che comunemente molti, confondendo “nous” con “pneuma”, affermano: l’uomo spirituale è l’uomo intellettuale. La dimensione spirituale dell’uomo va cercata nella relazione con lo Spirito di Dio. Non è la sapienza umana ma lo Spirito di Dio che genera nell’uomo una conoscenza spirituale di “cose” spirituali. L’uomo spirituale discerne le “cose” spirituali” che la psiche non è capace di intendere e giudica come pazzia.