Il metodo scientifico

Senza voler togliere nulla al valore del metodo scientifico nella sua indubbia capacità critica, utile e necessaria, riteniamo indispensabile distanziarci dall’esasperato scientismo. K.R.Popper nella Logica della scoperta scientifica scrive che il criterio della falsificabilità “è un criterio di demarcazione destinato a demarcare sistemi di asserzioni scientifiche da sistemi perfettamente significanti di asserzioni metafisiche […] le teorie scientifiche sono indispensabili ma non vanno intese come dogmi o articoli di fede, ma come principi relativi (falsificabili) a cui si ricorre per spiegare provvisoriamente la realtà”.

Si tratta dunque di collocare nella ricerca del sapere i modelli scientifici che sono necessari, ma non assoluti e dogmatici, come parte della scienza post-moderna vuole affermare quasi nevroticamente. Il valore del metodo scientifico e sperimentale moderno, che sfocia in una teoria scientifica, non va ricercato nella sua necessità metafisica ma nella sua capacità di spiegare meglio la realtà con una maggiore probabilità rispetto alle altre teorie. La teoria scientifica per sua natura non è assoluta ma probabile, ed insistere sul sapere meccanicistico e strutturale della realtà sfocia in una sorta di feticismo scientifico, espressione di D.von Hildebrand[1] che spiegheremo più avanti.  Il grande filosofo cattolico tedesco, sposato e migrato negli Stati Uniti a causa della persecuzione nazista afferma:

“L’applicazione della matematica all’interno del sapere è una grande novità del diciassettesimo secolo grazie alla convinzione che la mente umana è in grado di conoscere queste connessioni matematiche della natura, tuttavia il determinismo scientista e il positivismo non distingue il metodo filosofico dal metodo empirico presentandosi come l’unica filosofia del sapere, equivocando su come conosciamo, sulla gnoseologia rispetto a cosa conosciamo dei meccanismi che regolano la realtà”.[2] Leggi tutto “Il metodo scientifico”

Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3

Una maggior chiarezza della distanza interpretativa dei modelli antropologici rispetto ad un testo di mistica cattolica, per esempio della Serva di Dio Cecilia Maria Baij vissuta a Montefiascone nella prima metà del ‘700, potrebbe chiarire la posta in gioco. L’angolatura che prendiamo è il tema  dell’obbedienza; un esempio di come interpretare il bisogno di stima di sé e del valore dell’obbedienza nella vita psichica e spirituale. Occorre premettere che  l’approccio dello studio di Rulla è applicato sulle persone attraverso il colloquio vocazionale; è possibile tuttavia un approccio ermeneutico dell’epistolario cogliendo, nelle dinamiche testuali ripetitive, le tracce di una personalità che può in parte essere codificata e interpretata. Al termine di ogni lettera la Baij conclude sempre con espressioni di estrema sottomissione, anche per le piccole cose:

“Mi faccia la carità di mandarmi l’obbedienza; Resto sua umilissima, obbedientissima, serva e figlia nel Signore; mi pare che non dovrei dire queste cose ma le dico per obbedienza; soddisfo al mio obbligo di obbedienza; resto vostra affezionatissima obbedientissima serva e figlia; umilissima, obbedientissima e indegnissima serva e figlia nel Signore; torno a scrivere per obbedienza; con il merito però della santa obbedienza la quale ora gli domando; ma la santa obbedienza devo farla e perciò vostra reverenza saprà quello che dovrò fare”[1]

Anche attraverso numerose altre espressioni qui non riportate, la Baij sembra avere una bassa stima di sé, che la spinge a chiedere insistentemente obbedienze, professandosi al padre spirituale obbligatissima o obbedientissima serva e figlia nel Signore al termine di ogni lettera. Potremmo facilmente interpretare il bisogno inconscio di stima e di affetto celato sotto un atteggiamento d’obbedienza remissiva e assillante. Un bisogno profondo e radicale di essere sottomessa in tutto all’obbedienza per ricevere conferme, stima, affetto dal padre spirituale Gaetano Boncompagni. Un bisogno inconscio che minerebbe la capacità di vivere l’obbedienza in modo maturo e consapevole, una inconsistenza motivazionale tra il valore dell’obbedienza proclamato e il bisogno profondo di stima e affetto. Una prima osservazione su questo modo di interpretare la vita psichica che soggiace alla vita spirituale deriva dalla necessità evangelica di natura spirituale e non psichica, di obbedire al padre spirituale scelto nella fede per non essere ingannati da se stessi e dal demonio nel cercare e fare la volontà di Dio; questa motivazione spirituale a nostro avviso mette al riparo l’autenticità della vita spirituale da motivazioni inconsce e limiti psichici della natura umana. Una seconda osservazione; se fosse anche vero il bisogno profondo di stima e affetto, a tal punto da essere una penosa ferita psichica capace di rendere tortuosa la relazione con il padre spirituale, la Baij o chi per essa, con il sincero desiderio di mortificare se stessa attraverso il percorso virtuoso dell’obbedienza spirituale[2], offrirebbe al Mistico Sposo tutta se stessa, sentendosi e sapendosi amata dall’amore Misericordioso; è lo Spirito Santo che trascende, trasfigura la Sposa, dove essa non sarebbe capace di autotrascendersi teocentricamente a causa del suo limite psichico inconscio.

Quali conseguenze ha un’ermeneutica dell’esperienza mistica e spirituale con queste premesse antropologiche che riducono a «nous» ciò che è «pneuma»? Dal nostro punto di vista il marginalizzare l’azione e la presenza dello Spirito Santo nella vita spirituale dell’uomo (intesa come vita nello Spirito) riduce l’antropologia all’analisi delle sole facoltà dell’anima (intelletto, memoria, volontà) chiamando e interpretando ciò che è spirituale in ciò che è solamente di natura psichica, e viceversa ciò che è psichico è interpretato come di natura spirituale.

 c) L’atto di fede è un atto dell’intelletto? Leggi tutto “Antropologia interdisciplinare e dimensione psicologica/3”