Unità del sapere nel contesto della frammentarietà post moderna /1

Unità del sapere

Vogliamo fondare le necessità del dialogo interdisciplinare per rispondere alla frammentazione e alla eccessiva specializzazione nel contesto scientifico attuale. Aprirsi al dialogo interdisciplinare è una risposta al declino della postmodernità dove l’uomo è il creato sono diventati strumenti della scienza al servizio di pochi per raggiungere il profitto a scapito dell’umanità e della natura. La relazione tra scienza e fede, tra le diverse discipline scientifiche empiriche e le discipline filosofiche, teologiche e sapienziali si fonda sulla integrazione fra la ragione naturale e la fede religiosa, fra ciò che so e ciò che credo. Il credente che è scienziato, medico, psicologo, ingegnere è cosciente che la sua professione, il suo lavoro non è necessariamente in contrasto con la fede religiosa anzi, dentro di sé ne sperimenta  una convergenza che spesso non riesce ad esprimere, a tematizzare, riservandola al privato. Certamente questo rapporto fede-scienza nel credente-scienziato implica la rinuncia alla separazione tra il conoscere ed il pensare ereditato dal modello idealista kantiano, riconoscendo che esiste la realtà in se stessa, conoscibile scientificamente e sperimentabile  anche attraverso la comprensione o ermeneutica proveniente da una esperienza di fede. Questa nostra gnoseologia distingue ciò che il mondo è da ciò che il mondo significa, una scoperta scientifica empirica dal significato che questo ha per me, per gli altri e che la responsabilità di tale conoscenza comporta. È chiaro che la diversificazione e la frammentazione dei saperi sorta con la modernità, come abbiamo visto precedentemente nella panoramica storica, rende difficile il dialogo tra scienza e fede in un contesto culturale incapace di trovare e dare senso alla ricerca scientifica. L’ideale dell’uomo sapiente proposto dall’antichità è stato sostituito dall’uomo esperto, la contemplazione della natura è stata sostituita dall’analisi delle sue parti per trasformarla e dominarla. Assumiamo la domanda del Teologo Pablo Sudar su “come rispondere a questa sfida antropologica della postmodernità?”[2]

“È urgente la riscoperta della interdisciplinarietà sia nella forma semplice di multidisciplinarietà che favorisce uno studio completo sull’oggetto indagato, sia nella sua forma più complessa che richiede l’acquisizione di principi e dati riconosciuti come unificanti in tutte le discipline scientifiche che si mettono a confronto.” (Tanzella-Nitti).

La complessità dell’approccio interdisciplinare è maggiore tanto più l’oggetto in esame è complesso come per esempio gli organismi viventi e tra questi l’uomo e la sua salute bio-psico-spirituale. Lo studio interdisciplinare dell’uomo e in particolare del suo momento critico di sofferenza e disagio con sé e con gli altri, per fattori sociali o spirituali, suggerisce un coordinato approccio mettendo in evidenza che l’indagine scientifica nel rapporto fra soggetto ed oggetto non può non tenere conto che il soggetto che indaga ha un ruolo fondamentale nell’interpretare i risultati della ricerca attraverso le sue consapevoli o inconsapevoli pre-comprensioni filosofiche che guidano la formulazione di molte teorie e che diventano catalizzatori di una comunità scientifica. Occorre tenere conto che l’indagine scientifica richiede una rivalutazione antropologico-esistenziale dell’attività scientifica stessa, che oggi è comunemente chiamato umanesimo scientifico o dimensione umanistica della scienza[3]. Escludere che lo scienziato sia un essere umano che interpreta comunque la realtà che indaga empiricamente è all’origine delle difficoltà e delle incertezze nel proporre una sintesi del sapere e anche di integrazione del sapere su basi interdisciplinari. Per ovviare a tale difficoltà, invece di mettersi personalmente in discussione, si preferisce e teorizza la visione restrittiva e particolareggiata della post-modernità che rinuncia e rifiuta visioni universali. Soprattutto in ambito antropologico il relativismo assoluto della post-modernità può essere frantumato dalla realtà stessa osservata nei suoi aspetti multiculturali, in altri termini, con un approccio interdisciplinare multiculturale che eviti la chiusura nel proprio orizzonte totalizzante e riconosca gli elementi caratteristici propri e gli elementi universali riscontrabili in tutte le culture.

Nel percorso storico del cristianesimo vi sono stati interessanti tentativi di unificare la concezione del reale. La rivelazione cristiana generò la riflessione teoretica sull’unità del sapere inculturando il vangelo nel mondo greco-romano. Nella categoria filosofica-teologica del Logos vennero a convergere le categorie della creazione, dell’alleanza, della trascendenza di Dio e della sua presenza nella storia, l’incarnazione. Furono i Padri della Chiesa a compiere questo processo di inculturazione e unificazione del sapere. Nell’antichità vi era chi si distanziava dalla rivelazione producendo modelli di pensiero in chiave gnostica inventando la realtà attraverso astrazioni teosofiche[4]. Anche gli apologeti greci utilizzarono categorie filosofiche del tempo per comunicare la rivelazione biblica agli uomini del loro tempo, allo stesso modo fece la scuola alessandrina in Egitto, culla nell’antichità dell’incontro dei saperi. Nella cristianità due figure eminenti che hanno elaborato con frutto l’unificazione del sapere nel loro contesto culturale, sono Sant’Agostino d’Ippona, e San Tommaso d’Aquino. Non possiamo dilungarci su questi  notevoli teologi ma ne evidenziamo un concetto importante:  Sant’Agostino superò la visione manichea tra bene e male riconducendo la responsabilità delle scelte alla libertà dell’uomo e San Tommaso d’Aquino[5] elaborò un preciso progetto di unificazione del sapere dove la conoscenza razionale di matrice filosofico-aristotelica è illuminata dalla Rivelazione.

L’aquinate domenicano sviluppa la sua Summa Teologica con la consapevolezza che il vero, il buono, il bello è riconducibile a Dio e che l’uomo attraverso l’intelletto è capace di accedervi avendo da Dio stesso ricevuto tale capacità:

“a distanza di secoli risulta difficile immaginare la portata innovativa, ed in un certo modo rivoluzionaria, di tale ricerca di sintesi fra sapere religioso e sapere profano la cui importanza non sarà mai sovrastimata. Un operazione che , con parole di Giovanni Paolo II potrebbe trovare oggi un suo corrispettivo solo con l’ingresso deciso delle conoscenze provenienti dalle scienze naturali nelle riflessioni del sapere teologico: «gli sviluppi odierni della scienza provocano la teologia molto più profondamente di quanto fece nel XIII secolo l’introduzione di Aristotele nell’Europa occidentale. Inoltre questi sviluppi offrono alla teologia una risorsa potenziale importante. Proprio come la filosofia aristotelica, per il tramite di eminenti studiosi come San Tommaso D’Aquino, riuscì finalmente a dar forma ad alcune delle più profonde espressioni della dottrina teologica, perché non potremmo sperare che le scienze di oggi, unitamente a tutte le forme del sapere umano, possono corroborare e dar forma a quelle  parti della teologia riguardanti rapporti tra natura, umanità e Dio?» (Giovanni Paolo II, Lettera al Direttore della Specola Vaticana, 1.6.1988).”[6]


[1] G.Tanzella-Nitti, Unità del sapere, in Dizionario interdisciplinare scienza e fede, Ed. Urbaniana, Roma 2002.

[2] P.Sudar, La persona de Jesús el Cristo, p.213, Ed.Paulinas, Buenos Aires 2010.

[3] Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze 13.11.2000.

[4] L’opera Contra eresie di Sant’Ireneo di Lione ci mostra la fragilità delle correnti gnostiche.

[5] L.Congiunti, Scienza e fede in Tommaso d’Aquino, in “Fede, cultura e scienza”, p.349-365, Ed.Vaticana, Città del Vaticano 2008.

[6] Giuseppe Tanzella Nitti, Unità del sapere, in Dizionario Scienza e Fede.

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