Dare e ricevere l’Eucarestia in stato di pandemia

La Fase 2 della pandemia prevede la possibilità della Celebrazione Eucaristica aperta ai fedeli con le dovute procedure di sanificazione e distanziamento, mascherine e guanti, con organo me senza canti, ecc.
All’interno del mondo “cattolico”, senza voler separare il grano dalla zizzania, come ci è chiesto da nostro Signore, la questione non è più se sia più Messa con il popolo o meno Messa con meno popolo; una sorta di “termometro liturgico” che misura il “grado di dignità” (morale? liturgica? teologica?) della Celebrazione Eucaristica in base alla quantità e qualità della partecipazione. Ora le norme igieniche richieste, oltre al numero chiuso da affiggere sulla porta della chiesa che garantisca la giusta distanza, entrano in gioco sul ricevere e dare la Comunione Eucaristica. Come fare a non essere complice del Covid19? Come deve dare l’ostia consacrata il Sacerdote? Come deve riceverla il fedele? La questione non è perniciosa, per gli “addetti ai lavori” o peggio una procedura del tutto “sanitaria”. È una situazione che mette il credente di fronte ad una scelta che, volente o nolente, lo obbliga ad esprimersi nei confronti del Corpo di Cristo, con gesti (come ricevere o dare) e non con parole teologiche.
Cosa diventano il pane e il vino con la Consacrazione da parte del sacerdote cattolico? Sono un simbolo di comunione con Cristo che ci mette anche in comunione con i partecipanti? Leggiamo cosa è scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica che è una sorta di “Google Map” aggiornata per il cattolicesimo:
“Mediante la consacrazione si opera la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Sotto le specie consacrate del pane e del vino, Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera, reale e sostanziale, il suo Corpo e Sangue con la sua anima e divinità.” (CCC n.1413) Leggi tutto “Dare e ricevere l’Eucarestia in stato di pandemia”

INDULGENZE IN TEMPO DI PANDEMIA

Il Signore ti libererà dalla peste che distrugge (Sal 91,3)

Prima di spiegare il senso e il valore delle indulgenze ritengo utile un’introduzione generale al senso biblico di ciò che accade all’uomo e, più in specifico, al popolo di Dio lungo i numerosi secoli di storia. Lontani dalla polarità del pessimismo catastrofista e l’ingenuo ottimismo del “c’è la faremo tutti”, si inserisce il realismo del significato cristiano della sofferenza e della morte. “«Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). Le parole scritte da San Paolo alla Chiesa di Roma risuonano lungo lintera storia della Chiesa e orientano il giudizio dei fedeli di fronte ad ogni sofferenza, malattia e calamità.” (Decreto Penitenzieria Apostolica) Dunque è la Parola di Dio che orienta il giudizio dei fedeli di fronte al Covid-19, ovviamente tutta la Parola di Dio, non solo quella affine ai nostri gusti interpretativi: “Manderò contro di essi la spada, la fame e la peste” (Ger 29,17; Ap 6,8; Lc 21,11; Ger 27,13; Ez 5,17; Ger 42,17; Am 4,10; Dt 32,24; Es 9,3; Nm 14,12; Il Signore mando la peste su Israele 2Sam 24,12-16 (1Cr 21,11-14); 1Re 8,37; 2Cr 6,28; Is 45,5-7; ecc.) Leggi tutto “INDULGENZE IN TEMPO DI PANDEMIA”

Il COVID-19 è un castigo divino?

Assolutamente no – certamente si

Prima di rispondere bisogna capire cosa la Sacra Scrittura intende per castigo divino. Nell’Antico Testamento la rivelazione di Dio è autentica ma incompleta. Dopo la creazione e il rifiuto dell’uomo di obbedire a Dio espresso nel peccato originale, l’uomo è costretto a vivere in una condizione extra-paradisiaca, per riparare alla propria colpa.
“Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita. “ (Gn 3,23-24)
Dopo il peggioramento della condizione morale dell’uomo Dio manda una “castigo”, il diluvio che quasi azzera l’esistenza degli uomini sulla terra abitata.
“Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici, cioè quanto era sulla terra asciutta morì. Così fu sterminato ogni essere che era sulla terra: con gli uomini, gli animali domestici, i rettili e gli uccelli del cielo; essi furono sterminati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell’arca. Le acque restarono alte sopra la terra centocinquanta giorni” (Gn 7,21-24) Leggi tutto “Il COVID-19 è un castigo divino?”

Anima-corpo. Equivoci antropologici sul dialogo di S. Agostino con «i platonici» (2/2)

Chiarimenti sull’antropologia di S. Agostino
Fatte le debite premesse è possibile affrontare con maggior precisione la questione antropologica da cui siamo partiti, rilevando anzitutto che se è vero che «non si può negare, in ogni caso, l’incidenza in Agostino della concezione del corpo come prigione, presente in Platone, a sua volta dipendente dalla teogonia orfica e dal mito di Dionisio Zagreus e mediata attraverso la cultura  romana e il medio neoplatonismo di Albino, Apuleio, Porfirio e Plotino, di cui è ampia traccia nell’opera [De civitate Dei]»,[1] è altrettanto vero che «le influenze filosofiche su Agostino non dovrebbero limitarsi a quelle che affermavano una dualità di corpo e anima; gli scritti di Varrone, e con essi la vecchia accademia, e anche di Aristotele, accettavano l’unità del corpo e dell’anima, ed ebbero una significativa influenza sul pensiero di Agostino».[2] Pertanto «sotto questo punto di vista si riscontra effettivamente in Agostino una certa oscillazione fra il riconoscimento della “pesante schiavitù del proprio corpo”, unito ad una considerazione pessimistica della vita del corpo, e l’esaltazione dell’uomo, vertice sublime della creazione di Dio, oscillazione legata alla matrice filosofica platonica e alla difficoltà di conciliarla con il dettato biblico».[3]

L’apparente contraddizione a cui qui si fa riferimento non è dovuta affatto a contenuti “mutevoli”, indecisioni o imprecisioni presenti nel pensiero di sant’Agostino, quanto piuttosto alla limitatezza del linguaggio umano e agli schemi interpretativi da cui tale linguaggio è mutuato. Leggi tutto “Anima-corpo. Equivoci antropologici sul dialogo di S. Agostino con «i platonici» (2/2)”

Anima-corpo. Equivoci antropologici sul dialogo di S. Agostino con «i platonici» (1/2)

Una interpretazione dell’antropologia patristica
Tra i filosofi contemporanei e a volte anche tra i teologi è diffusa la convinzione che i Padri della Chiesa, primo fra tutti s. Agostino, avessero una concezione dell’uomo tendenzialmente dualistica, in cui il primato dell’anima sul corpo fosse dovuto ad una visione negativa della dimensione corporea. Questo porta, non rare volte, ad escludere l’antropologia patristica, e conseguentemente quella medievale, dal dibattito filosofico sulla natura umana, in quanto considerata – in modo piuttosto superficiale – come una “rivisitazione” in chiave platonica della visione biblica dell’uomo.
Scrive ad esempio C. Giorgini: «Per la filosofia patristica la questione del rapporto tra anima e corpo si può così riassumere: il vero uomo è l’anima e il corpo è la sua prigione, qualche cosa come un vestito, qualche cosa che nasconde l’uomo vero, l’uomo interiore»[1]. E poco oltre afferma che «questa è la visione antropologica della patristica sia greca che latina da Clemente a Origene a Eusebio a Nemesio a Gregorio Nisseno fino a Agostino, poiché l’antropologia classica “tendeva ad identificare – precisa Allan Fitzgerald – ciò che è veramente umano con l’anima, così che il materiale, compreso il corpo, era in ultima analisi un peso. In quanto estraneo all’anima, il corpo impediva

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Sofferenza amorosa psichicamente sana

Tutti vogliono essere liberati dal male, sia fisico che psichico, il dolore che percepiamo nel nostro corpo ma anche, per empatia, il dolore degli altri che amiamo o pensiamo di amare. Nessuno vuole stare male “dentro”, tutti vogliamo essere sereni e la serenità delle persone a cui vogliamo bene incide sul nostro stato d’animo. Lo stato delle cose sembra suggerirci che la Bontà di Dio stia dalla nostra parte e il suo Amore ci verrà incontro per non farci soffrire nel corpo e nella psiche e di conseguenza non farà soffrire o morire le persone che amiamo. La croce e la sofferenza sarebbe una disgrazia esistenziale e sarebbe da bandire dalla terra. A questo punto, dovendo negare il valore salvifico della Croce di Gesù e della nostra croce unita alla sua e ci troveremmo in accordo con l’Accusatore di Dio, il padre della Menzogna, l’omicida fin da principio. Dio Padre sarebbe stato crudele nel permettere la morte in croce del Figlio unigenito. La sofferenza degli uomini, e soprattutto la nostra sofferenza personale, sarebbe una crudeltà divina. Per gli “amici” del diavolo sarebbe Dio l’origine del male… se Dio fosse stato buono sarebbe intervenuto per salvare il Figlio dalla Croce e soprattutto toglierebbe la sofferenza dalla vita terrena. Dunque il “dio buono”, secondo costoro, dovrebbe preoccuparsi di togliere la sofferenza e la croce dal mondo affichè tutti possano godersi la vita in “santa pace”. Il falso dio di costoro dovrebbe essere così “buono” togliere anche di mezzo anche tutti coloro che ci rendono infelici e che volontariamente o involontariamete ci fanno soffrire. Questo modo di pensare è “anticristico” per diversi motivi. In primo luogo Leggi tutto “Sofferenza amorosa psichicamente sana”

Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 4/5

 4kasper/ La permanente attualità delle testimonianze bibliche

Rispetto al problema dell’origine del male le testimonianze della Sacra Scrittura offrono un quadro variegato. Si parla del peccato personale dell’uomo, del potere del peccato sull’umanità (vedi peccato originale), dei principati e potestà del male.

“La credenza nel diavolo e demoni non presenta alcunché di specificatamente biblico; essa è una componente della visione del mondo che la Bibbia condivide con il proprio ambiente, una concezione del mondo che potremmo senz’altro qualificare come di tipo mitologico. […] Di conseguenza la Scrittura non conosce nessuna demonologia sistematizzata ma soltanto delle tradizioni fra loro estremamente differenti… Soprattutto il motivo della caduta degli angeli, osservato alla luce della storia delle forme, si rivela come una leggenda che troviamo soltanto nella letteratura intratestamentaria e che nel Nuovo Testamento è stata registrata solo ai margini.”

L’autore a questo punto si chiede se gli enunciati su gli angeli e sul  diavolo esigano una demitizzazione che li interpreti come un «rivestimento immaginifico» di contenuti teologici. Prima di abbozzare una risposta a titolo di premessa afferma:

“In ogni caso oggi non possiamo più sostenere la concezione teologica tradizionale del diavolo che si limitava semplicemente a citare, secondo il vecchio metodo fondamentalistico delle concordanze, tutte una serie di passi biblici e dichiarazioni magisteriali sul diavolo, senza analizzare il genere letterario, il contesto storico-religioso e l’intenzione assertiva di questi testi”[1].

La demitizzazione attraverso l’ermeneutica Leggi tutto “Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 4/5”

Un diavolo per capello o un cappello per il diavolo?

Un diavolo per capello non è meglio che un cappello per nascondere il diavolo

 

Per chi vede il diavolo d’ovunque si può dire che ha davvero un diavolo per capello nella sua testa; altri, rasati a zero, sperano che i capelli non esistano e per sicurezza si mettono il cappello, preso in prestito dalla filosofia, per nascondere un eventuale insorgere del problema. Talvolta il demonio sembra un “animale protetto” di cui non si può parlare per una sorta di demono-fobia, altre volte a forza di parlarne, per paura e convenienza, ci si vuole convincere che siamo in balia dei demoni e non siamo liberi e responsabili dei nostri atti moralmente cattivi: la colpa è del diavolo.

 

Chi crede, da cattolico, all’esistenza di ciò che la Chiesa Cattolica definisce per “demonio” tende a vederlo ovunque quando non distingue la responsabilità morale degli atti umani (peccato) dalla tentazione del Maligno che, essendo già giudicato da Dio e dannato per l’eternità, non ha più la possibilità di commettere delle colpe, ne  meriti,  in quanto già condannato. Dunque è chiaro che non si può dare la colpa al demonio per gli atti umani malvagi, di cui solo gli uomini sono responsabili se vi aderiscono liberamente. Il potere del Maligno o Diavolo esercitato sulla vita degli uomini non viene da se stesso (come credono coloro che praticano la magia o il culto satanico) ma viene dal peccato dell’uomo. Il perdono dei peccati da parte del Figlio di Dio sottrae l’uomo al potere delle tenebre, fin dal Sacramento del Battesimo e volendo in ogni momento della vita con la possibilità di accedere al Sacramento della Confessione. Sul male prevale dunque la misericordia di Dio  che è accessibile liberamente ad ogni uomo (Battesimo) e a ogni fedele (Confessione).

Chi nega, da cattolico, l’esistenza di ciò che la Chiesa Cattolica definisce per “diavolo” o “demonio”, Leggi tutto “Un diavolo per capello o un cappello per il diavolo?”

3/5 Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica

3kasper/ La prospettiva teologica del problema del male. Tre enunciati sul male.

L’autore con un primo enunciato di fondo delinea la risposta teologica sul problema del male:

“L’annuncio fondamentale del vangelo è che Gesù Cristo, Signore di ogni realtà, Signore sulla vita e sulla morte, su tutti i principati e potestà del male, si è mostrato una volta per tutte Dio, per cui nella fede noi abbiamo la certezza che alla fine Dio sarà  «tutto in ogni cosa». […] Tutto ciò che teologicamente può e dev’essere detto, in definitiva non è altro che l’esplicitazione di questo enunciato di fondo.”

Un secondo enunciato colloca la dottrina del male all’interno della dottrina della creazione:

“La fede nella creazione attesta quindi che tutto ciò che esiste, esiste soltanto per il fatto che Dio per amore e liberamente lo fa partecipare al proprio essere. Troviamo così enunciata una seconda affermazione sulla realtà del male: il male non possiede una propria realtà in senso vero, poiché ogni realtà è liberamente voluta da Dio, da Lui è chiamata all’esistenza e da Lui nell’esistenza viene conservata come una realtà fondamentalmente buona.”

Il male non è dunque altro che un nulla, è come un vuoto che non ha una consistenza ontologica reale. Il dualismo gnostico-manicheo che accanto al Dio del Bene  vede un principio Malvagio uguale e contrario e il monismo inteso come demonizzazione di Dio in quanto causa del male, sono incompatibili con il messaggio di salvezza. Leggi tutto “3/5 Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica”

Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 2/5

2kasper/ Dimensioni filosofiche del problema del male.

Il Kasper afferma che «il primo approccio al problema del male […] passa attraverso l’esperienza. […] una realtà dell’esperienza umana». Evidentemente il problema del male è affrontato non solo dalla Bibbia e dalla Tradizione ecclesiastica, ma anche dalla letteratura, dalla filosofia, «e le moderne scienze umane (psicologia del profondo, sociologia, ricerche sul comportamento e soprattutto la parapsicologia)». Il problema che si pone è se l’enunciato sul diavolo costituisca una categoria interpretativa  dell’esperienza del male vincolante o come suggerisce l’autore se sia  «almeno utilizzabile».

Le scienze moderne ritengono di essere sostanzialmente in grado d’inquadrare, nell’ambito delle loro teorie ed ipotesi chiarificatrici, tutti i fenomeni connessi con il diavolo […] i filosofi cui abbiamo accennato (E. Bloch, L. Koladowski, P. Ricoeur) giungono a delle interpretazioni secondo le quali il diavolo sarebbe una specie di simbolo atto a significare una determinata struttura dell’essere o della libertà umana.

Presupposto che scienze moderne spiegano la fenomenologia e i filosofi ne danno una interpretazione simbolico-semantica generata dalla struttura dell’essere, il Kasper indica la riflessione sulla libertà come punto di partenza per superare il conflitto tra esperienza del male psico-fisico e il male morale che esiste solo dove c’è la libertà e quindi la responsabilità: Leggi tutto “Dalla “teofobia del diavolo” alla demonologia cristologica 2/5”